Gente d'Italia

Sulla morte del giudice Paolo Borsellino, a trent’anni di distanza emerge il sospetto di un gigantesco depistaggio

 

 

 

Franco Esposito

Il processo è in corso a Caltanissetta. All'attenzione dei giudici, a trent'anni di distanza, le stragi che insaguinarono il Paese nel 1992. In particolare quelle di Capaci e via D'Amelio a Palermo. Insabiammeniti e depistaggi, definito addirittura “gigantesco” quello sulla morte del magistrato Paolo Bersellino. La Procura di Caltanissetta accusa tre poliziotti: avrebbero istruito un pentito sulle dichiarazioni da rendere alla magistratura. Le false accuse di Scarantino, mafioso di piccolissima valenza, avrebbero coperto responsabilità “esterne alla mafia”.

Questioni aperte, riproposte ciclicamente, non solo gli insabbiamenti delle indagini, ma pure i depistaggi, le coperture di personaggi e interessi extramafiosi. All'anniversario della strage di Capaci mancano dieci giorni. Quelle bombe della mafia uccisero i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e tre agenti della loro scorta. Tra due mesi e sei giorni l'anniversario della strage di via D'Amelio in cui furono uccisi il giudice Paolo Bersellino e i cinque agenti della scorta.

A Caltanissetta, negli ulitmi giorni, la requisitoria del pm Stefano Luciani e di alcuni familiari dei magistrati ammazzati dalla mafia al processo sui depistaggi nella prima inchiesta sulla morte di Bersellino, ha riproposto polemiche (e ferite) che sembrano insanabili e ancora sanguinanti. .

Tre poliziotti – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – sono accusati di “calunnia aggravata”. La Procura chiede per loro condanne rispettivamente di 11 anni e 10 mesi, e 9 anni e 6  mesi per gli altri due. Avrebbero spinto un piccolo venditore di sigarette di contrabbando, estraneo alle alte strategie mafiose, Vincenzo Scarantino, a fare rivelazioni “su loro indicazioni” sulla strage di via D'Amelio.

La Procura di Caltanissetta ritiene che i tre avrebbero svolto l'illecita attività con l'ex capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, scomparso nel 2002. Salvatore De Luca, procuratore capo di Caltanissetta, si è soffermato a lungo su quello che ritiene un dato di fatto. “Tutti sapevano che Scarantino era personaggio delinquenziale di serie C. Parlare di questo gigantesco depistaggio solo per motivi di carriera di La Barbera è la giustificazione classica di Cosa nostra”.

Interessi esterni a Cosa nostra, secondo la Procura di Caltanissetta, verrebbero confermati anche “dalla sparizione della famosa agenda rossa che il giudice Borsellino aveva con sé nella sua borsa quando venne ucciso”.

Le false dichiarazioni di Scaratino in un'intervista al  giornalista di Mediaset, Angelo Mangano, sono poi emerse con il pentimento di Gaspare Spatuzza, Il mafioso si è autoaccusato della strage per coprire responsabilità esterne  a Cosa nostra: Il raggiungimento di questo obiettivo ha imposto di tenere sotto stretto controllo degli agenti di polizia il falso pentito Scarantino. Il pm Stefano Luciani ha aggiunto: “C'era familiarità tra La Barbera e il Sisde. La strage di via D'Amelio avviene a 57 giorni da quella di Capaci, in un momento storico che ha prodotto devastanti effetti per l'organizzazione mafiosa. I tempi coincidevano con altri interessi”.

In conclusione, afferma il pm, “ciò che non troverete nella versione di Scarantino è la presenza dell'individuo all'interno del garage di via Villaservaglios non conosciuto da Gaspare Spatuzza, che ne parla come possibile soggetto esterno all'associazione mafiosa”.

Storico dell'Imes, docente ordinario di storia contemporanea all'Università di Palermo, Salvatore Lupo è anche il fondatore e vice direttore della rivista quadrimestrale “Meridiana”, Uno studioso tr ai più autorevoli della storia della mafia. Autore di diversi libri, esprime questa convinzione: “Non credo ai complotti, ma i magistrati esplorino ogni minima traccia, La classe politica siciliana da sempre si caratterizza per forti elementi di ripetitività”.

Giorni fa, alla presentazione del libro scritto dal giornalist Felice Cavallaro, il fratello del giudice Francesca Morvillo morta a Capaci, ha fatto un riferimento alla compagna elettorale in corso per le regionali in Sicilia. Competizione che vede impegnati Totò Cuffaro e Marcello Dell'Utri. Entrambi  condannati in processi di mafia per cui hanno scontato la loro pena. Cuffaro e Dell'Utri appoggiano il  candidato di centrodestra Roberto Lagalla.

“A trent'anni dalle stragi – ha ricordato Alfredo Morvillo – la Sicilia è in mano a condananti per mafia”.

Fratello de giudice Borsellino, Salvatore Borsellino il giorno dopo ha annunciato che anche quest'anno diserterà la manifestazione di ricordo delle due stragi. “É assurdo che due persone con condanne per mafia possano svolgere la funzione di grandi elettori per le elezioni siicliane. Il problema non è Totò Cuffaro, ma chi accetta il suo appoggio. Anche perchè nel nostro Paese esiste il diritto all'oblio e lui ha pagato il suo debito con la giustizia. É un tema id opportunità morale”. Cuffaro ha fondato cinque anni fa una nuova Dc.

Salvatore Borsellino ha annunciato che farà una manifestazione rievocativa delle stragi all'insergna “del silenzio”.  Cuffaro ha replicato rivendicando il diritto costituzionale a vivere e coltivare “la mia vita da libero cittadino, dopo aver pagato i iei errori con grande sofferenza”.

Ma la realtà è lo scenario in cui la Sicilia si muove a trent'anni dalle due orribili stragi. Quella dell'isola è una condizione statica. Immobile.

 

F.

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