di Giorgio Merlo
Dunque si riparla di “terzo polo”. Renzi annuncia pubblicamente, e forse a ragione, che “il terzo polo, alternativo ai populisti, può arrivare anche al 20%”. Mentre il simpatico Calenda, alleandosi con ciò che resta dei radicali, dice solennemente che vuole “fare un terzo polo moderato” che suppergiù si aggira anch’esso attorno al 20%. Ora, pur senza mettere in discussione le previsioni elettorali di alcuni capi partito che si riconoscono in quest’area, credo che siano necessarie tre condizioni per far sì che le suddette previsioni non si trasformino in autentici boomerang.
Innanzitutto, il “terzo polo” o il “centro” o il “polo moderato” hanno un senso politico e una funzione politica se convergono in un’unica area. Non ci vuole un politologo o uno scienziato della politica o un sondaggista per arrivare alla banale conclusione che solo attraverso l’unità è possibile far emergere una posizione politica alternativa ai populismi da un lato e capace, al contempo, di condizionare una alleanza autenticamente democratica, riformista e di governo dall’altro.
In secondo luogo un “terzo polo” o il “centro” o un “polo moderato” hanno un senso e una funzione politica se riescono a dispiegare una credibile e visibile cultura politica. Non necessariamente, come ovvio e scontato, di impronta cattolico democratica e cattolico sociale. E questo perché la cultura politica di riferimento non può che essere plurale e caratterizzata da un programma di governo che rifugge da tutti gli “ismi”. A cominciare dal populismo - indubbiamente l’avversario più insidioso e più pericoloso - seguito dall’immancabile massimalismo e da ogni forma di estremismo politico o sociale che sia.
Perché questa posizione politica è ancor più credibile nella misura in cui riesce a dispiegare un progetto che non sia riconducibile solo ad una sorta di tatticismo permanente ma che, al contrario, recuperi un tassello decisivo e qualificante della politica. Ovvero, un fondamento ideale che riconsegni respiro alla politica e alla sua declinazione concreta, contro il “nulla della politica”, per dirla con l’indimenticabile Mino Martinazzoli che ha caratterizzato gli ultimi anni dominati dal grillismo. Una stagione dove la politica è scomparsa, i partiti sono stati ridotti a grigi cartelli elettorali, la classe dirigente è stata annientata e le culture politiche rase al suolo. Una fase che adesso, come molti osservatori ormai evidenziano da tempo, richiede una inversione di rotta e un deciso cambio di marcia. E un progetto politico, al riguardo, non può non avere una cultura politica che lo giustifica e lo nobilita.