OPINIONE

 

di Franz Foti

La democrazia è equilibrio economico, sociale e politico. L’esecrabile guerra siglata Z, con l’aggiunta di una riesumata falce e martello imperiale, ha rotto questo mutevole equilibrio e squarciato buona parte della quiete universale con conseguenze inimmaginabili. In Italia soprattutto e nell’occidente europeo, per le nostre fragilità endemiche, saremo maggiormente colpiti.

Nel nostro Paese ormai forze di governo e cittadini marciano su due piani separati. Il primo è riservato al manovrismo parlamentare e partitico che tutela strettamente gli apparati di potere, pubblici e privati e architetta le politiche di autoperpetuazione, personale e di gruppo. In questo piano si stabiliscono le strategie di tutela degli interessi degli elettorati di riferimento che, a loro volta, devono garantire una base di rappresentanza istituzionale ai partiti. Potremmo definire la legge elettorale attuale come strumento regolato secondo criteri di consociativismo di protezione politica.

In base a questi reciproci interessi di gruppi di potere, sociali e partitici,  le leggi elettorali permettono di tracciare e riprodurre i rapporti di forza. A ogni interesse deve corrispondere una risposta appagante, di conseguenza e secondo questi principi perversi, che esulano dall’interesse generale e dal rispetto del bene comune, si concepiscono le politiche di prelievo fiscale e di redistribuzione del reddito progettate a due punte: una orientata verso l’alto, la ricchezza crescente, e l’altra che indirizza immancabilmente la freccia verso il basso, destinata al complesso mondo della vita di adattamento, luogo in cui dimorano inesorabilmente sofferenza e disuguaglianza.

Il secondo piano è destinato al rapporto fra poteri istituzionali (governo centrale e periferico, parlamento, partiti e loro rappresentanti) e i diritti dei cittadini sanciti dalla Costituzione, descritti come valore etico, obbligo istituzionale, strumenti di difesa di dignità della persona, di rispetto dei principi di uguaglianza e di libero esercizio della sovranità popolare. Questi principi di equilibrio esistenziale sono saltati diventando carta straccia. Serve configurare una legge elettorale democratica, che solleciti la partecipazione al voto e rappresenti un atto di responsabilità politica verso i cittadini e un primo passo per rompere lo schema elettorale che soffoca la volontà popolare, il potere civico, base primaria, ancora inconsapevole, per maturare una nuova idea di mondo.

I politici comincino a liberarsi delle anacronistiche zavorre di partito e dei parassitismi clientelari. Privilegino candidati competenti, di pensiero libero e non asservito, difensori dell’ambiente, europeisti, persone trasparenti. Selezionino contenuti non destinabili all’area del privilegio in maniera da  produrre effetti positivi e concreti per l’intera comunità, visibili e misurabili, tali da consentire un percorso di riconciliazione con le istituzioni e la politica, riportando il corpo sociale a consapevolezza politica, responsabilità sociale e partecipazione collettiva.

Per la composizione delle prossime liste elettorali le forze politiche stipulino un patto civico per selezionare una nutrita schiera di candidati della società civile purché muniti di profili rilevanti. I politici non dovrebbero riciclare soggetti inutili e compromessi, né candidare persone che cumulino tutt’ora doppi o tripli incarichi. Sarebbe utile e trasparente pubblicare i profili professionali e i redditi dei candidati prima di comporre le liste elettorali definitive in maniera che ogni cittadino possa identificare e votare il rappresentante che ritiene più adatto per gli interessi del Paese.

Ritrovare il senso del voto in una fantomatica seconda o terza Repubblica significa ritrovare il senso della democrazia nel nostro Paese. Manca un’analisi di quadro generale, un accurato esame delle  mutazioni dei valori, della sensibilità sociale in rapporto ai servizi, delle affidabilità istituzionali e partitiche, delle variazioni di ruolo e di reddito della nostra comunità, dei livelli d’istruzione e di democrazia. Su questi fronti la nostra classe politica ha lavorato molto e male, puntando di più sul pressappoco e parecchio sull’autoreferenzialità “cesaristica”.

Si potrebbe ripartire dalla legge elettorale per raddrizzare da subito quel che si può. Dobbiamo prendere atto che in Europa è tramontato quasi ovunque il bipolarismo di schieramento che il ‘900 aveva disegnato in virtù dell’esistenza dei due blocchi: quello occidentale e quello sovietico. Oggi si registra una multipolarità di forze politiche, fin troppe, e una notevole frammentazione sociale, soprattutto in Italia. Siamo passati dallo schieramento ideologico allo schieramento per interessi  notoriamente più legati al consumismo e all’egoismo. La classe politica non riesce a gestire questo salto complesso, tralasciando valori, competenze e culture. Le leggi elettorali prive di senso  democratico rappresentano questo vuoto. Prima di legiferare serve pensare!

In questa fase isterica e confusa forse una legge elettorale proporzionale, con sbarramento al 4% e con possibilità preventiva di apparentamento di liste, semplice e lineare, comprensibile a tutti, potrebbe favorire la rappresentanza delle molteplici facce della società. La governabilità è un fatto successivo al voto, non può e non deve diventare ricatto per l’elettore altrimenti il malessere sociale si solidifica nell’astensionismo macrocoagulante. Paolo Antonio Amadio della “Rete della Politicità Sociale”, sostiene che per un paese migliore occorra prima di tutto un parlamento migliore e suggerisce tre regole capaci di modificare la logica con la quale le segreterie dei partiti potranno scegliere candidati migliori per le elezioni.

La prima: nessun candidato deve essere proposto in più di due collegi elettorali e liste elettorali presentate almeno 120 giorni di anticipo rispetto alla data delle elezioni per permettere a chiunque di prenderne visione con largo anticipo. La seconda: l’elettore può scegliere un partito o una lista elettorale e non più di due candidati, aggiungendo che si potrà votare in forma disgiunta. La terza: la ricandidatura nella successiva tornata elettorale può essere proposta purché si collochi nello stesso collegio elettorale nel quale era stato eletto, fatta salva la facoltà di candidarlo anche in un secondo collegio. È ammesso che il soggetto proponente sia diverso da quello nelle liste del quale il parlamentare era stato in precedenza eletto.

Toqueville diceva che “L’idea del nuovo è quindi nel suo spirito intimamente legata all’idea del meglio” (La democrazia in America). Ma “i nostri eroi” hanno misura di che cosa possa oggi rappresentare il meglio?