di Gianni Riotta
Quando studiavo alla Graduate School of Journalism della Columbia University, il professore Donald Shanor, decano degli inviati, portò il nostro seminario alle Nazioni Unite, nella luce e nel vento di quel braccio di mare che i newyorkesi chiamano sbagliando fiume, l’East River. Nello storico palazzo, disegnato dall’architetto Wallace Harrison con i geniali Oscar Niemeyer e Le Corbusier, senza controlli, ci infilarono in una stanzuccia interna dove, in perfetto orario, si presentò il leggendario diplomatico inglese Sir Brian Urquhart, tra i fondatori dell’Onu e già braccio destro del carismatico segretario generale Dag Hammarskjöld, statista svedese caduto in circostanze misteriose in Africa nel 1961 e premio Nobel.
Urquhart squadrò la scarruffata mezza dozzina di giornalisti ragazzini, ci interrogò, si ravviò la chioma canuta da ex studente di Oxford e scandì la frase che cambiò, fino ad oggi, il mio sguardo sul mondo. “Voi - disse squadrandoci gelido- non capirete mai nulla di politica estera, come pressoché nulla comprendono i vostri colleghi di successo, giornali, radio, tv. Accendete uno dei programmi di grido” e penso avesse in mente la BBC di casa, “ascoltate un reportage di denuncia, carestie, guerre civili, terrorismo, dittature, segue l’intervista a un esperto, che da una università antica, muri foderati di edera, in felpate parole, vi spiega cosa occorre fare, una, due, tre mosse stile scacchi, per risolvere l’emergenza. Voi cadrete in questo schema fasullo e vi perderete. Ho seguito ogni crisi, dallo scoppio della guerra, ufficiale britannico e diplomatico, e vi dico: le calamità internazionali hanno tre possibili soluzioni, Cattiva, Pessima, Tragica. Il buon leader, il bravo ambasciatore, l’inviato raziocinante provano a far prevalere l’esito Cattivo, sanno di doversi accontentare spesso dell’esito Pessimo e lavorano, con ogni mezzo, per scongiurare il Tragico”. Si alzò nell’impeccabile abito tagliato a Saville Row e tornò nel suo ufficio luminoso, lasciando noi, e me, cresciuti per sempre.
Quando discuto, studio, scrivo, ascolto dell’invasione del presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin in Ucraina, che ha travolto la sicurezza in Europa e nel globo, la lezione di Sir Urquhart mi torna avanti, lucida. Non si tratta della scuola Realpolitik di Henry Kissinger, che dopo aver giustificato il golpe in Cile del 1973 contro il presidente socialista Allende, la strage degli studenti cinesi a piazza Tienanmen 1989, copre ora, a 99 anni, in nome dello status quo, anche le stragi russe contro la popolazione civile (applaudito, la Storia conosce bene l’ironia, da intellettuali di sinistra che lo odiavano…). Né si tratta della greve, per quanto coperta da prose snob, linea dei nostri osservatori d’antan che spiegano come, pur di vendere mocassini Made in Italy o ridurre i prezzi di un piatto di cacio e pepe, si debba cedere a Mosca. Questi sono i nipotini del Congresso di Vienna, 1815, persuasi che l’autodeterminazione dei popoli sia un male e che i potenti debbano, fra loro, feroci, come gli Ateniesi contro l’Isola di Melo nel racconto di Tucidide, dare ragione alla forza contro il diritto. Fosse per loro, ambasciatori, generali, giornalisti, politici, docenti, saremmo ancora sotto l’Impero Austro Ungarico.
Urquhart spiegava altro, che la realtà non si può eludere, e che la battaglia per la pace, lo sviluppo e i diritti umani va dunque combattuta in questo contesto, non in un’utopica Città del Sole.
Chiedere trattativa, mediazione, diplomazia, come fanno esponenti del mondo cattolico italiano, non pochi in buona fede, è giusto. Che il fronte occidentale si articola bene. C’è chi, come il presidente francese Macron -alla vigilia di un difficile turno elettorale il 12 giugno, con la sinistra di Mélenchon e la destra di Le Pen pronti ad accordi con il Cremlino, sopra o sotto banco che sia- parla di “non umiliare la Russia”. Chi, vedi il cancelliere tedesco Scholz, oscilla (forse troppo, ma è, perdonatelo, agli esordi) tra invio di armi a Kiev, riarmo interno e cadute nel vecchio stile Putin Versteher, gli amici di Putin, inaugurato dall’ex cancelliere ora lobbista Schroeder e perseguito dal leader ungherese Orban. E infine ci sono i risoluti, paesi Baltici, Polonia, Casa Bianca di Biden, Svezia e Finlandia candidate Nato, Ripeto, è un bene, non un male questa dialettica, come equivoca purtroppo, stavolta in malafede, la stampa populista.
Sarebbe meraviglioso che dallo sconsiderato attacco di Putin del 24 febbraio, che tanti lutti è costato e costerà, emergesse una Buona soluzione, smentendo Sir Urquhart. Liberazione dei territori ucraini occupati contro il diritto internazionale, Donbass e Crimea. Democrazia e ricostruzione civile ed economica a Kiev, Europa capace di creare una struttura militare comune, Churchill stesso ci provò invano, e con un reportage sul Corriere della Sera ne scrisse un Eugenio Montale cronista, Nato ammodernata alla stabilità del 2022, non del 1945. E, perché no?, in questa chimera di Buona Soluzione anche un contraccolpo a Mosca capace di liberare il paese dall’Autunno fosco del Patriarca Putin, avviando un processo di uscita dal nazionalismo guerrafondaio che lo anima da una generazione, affrancare i dissidenti, garantire il dibattito. Con la Cina di Xi Jinping consapevole che le avventure non funzionano e, alla vigilia di un inedito terzo mandato presidenziale e del Congresso del partito comunista, indotta ai commerci, non l’attacco a Taiwan o India.
Lette queste righe svegliatevi, questi sono obiettivi cui aspirare, duri da ottenere subito, lo sa e lascia intendere lo stesso presidente Volodymyr Zelensky. È chiaro che l’uscita dalla guerra deve percorrere due, paralleli, percorsi, battere in campo le armate di Putin, per riportarlo alla trattativa cui sfugge, verso concessioni e un equilibrio che chiuda con le sue avventure belliche, Georgia, Cecenia, Siria, Ucraina, chissà dove domani.
Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta, leader che, con il primo ministro Mario Draghi e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio con il loro, meritorio Piano, meglio ha interpretato la difesa europea di pace e stabilità, ha, con coraggio morale raro nel nostro tempo, azzerato via social media una campagna di disinformazione contro di lui: “Per evitare malintesi: in un discorso ho sintetizzato eccessivamente la frase del leader bosniaco Izetbegovic “Una pace non completamente giusta è meglio della continuazione di guerra e morte”. L’avevo già detta giorni fa. Nessun cambio di linea sul no a Putin e sul sostegno in Ucraina". Una frase mozzata dai media, infatti, era stata famelicamente inalberata dagli amici di Mosca, che ora anche il Corriere della Sera, in un brillante dossier di Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni individua, dopo il quotidiano lavoro di Iacoboni della Stampa, Ottaviani di Avvenire, il team di analisti all’Italian Digital Media Observatory www.idmo.it, con Rai, Tim e Luiss, chi scrive via Repubblica.
“Una pace non completamente giusta” è la soluzione Cattiva che, purtroppo, dovremo attenderci dalla guerra di posizione in corso. Ma svendere, per un paio di scarpe, un gallone di benzina, due maccheroni, l’odio antiamericano di destra e sinistra unite alla Ribbentrop-Molotov, la nostra sicurezza, sarebbe Tragico.
In campo la battaglia resta aperta. Putin ha sbagliato tattica e strategia, non ha preso Kiev o eliminato Zelensky e ora si accovaccia in un massacro quotidiano che i numeri, in soldati e armi, gli consentono. Il prezzo che pagherà a casa sarà duro, anche per effetto delle sanzioni, ma non arriverà presto. Le forze armate ucraine hanno tenuto con coraggio, e abilità tattica, e hanno in serbo sorprese. Ma pagano, ogni giorno, in sangue e città distrutte. Non aiutarle con le armi non vuol dire raggiungere la pace, vuol dire spiegare a tanti dittatori che i colpi di mano militari vincono e ne vedremo ovunque.
La scelta italiana è dunque semplice, per il governo Draghi e quello che seguirà nel 2023, per la coscienza di ciascuno di noi e il presidente Mattarella lo spiega instancabile: abbandonare l’Ucraina prima, l’intera Europa e la stessa Russia a un esito Tragico, o battersi con raziocinio e solidarietà per una soluzione che sarà, per forza di cose, Cattiva ma che poi, ogni giorno, proveremo insieme a migliorare.