di Stefano Baldolini
Don Fabio Capello che lo considerava più importante di Totti o Batistuta ne ha vaticinato il destino politico. “Era atipico. Un interno, uno che si muoveva in una zona del campo indefinita”. Salvini e Tosi che lo hanno visto prevalere al primo turno delle amministrative di Verona, probabilmente non lo sapevano.
Ma poiché il campo dice spesso la verità degli uomini che lo calpestano, per raccontare Damiano Tommasi è da lì che bisogna partire. E dai nomignoli. Il mitico Gianni Rivera, detto “l’abatino” non gettava il sangue e dopo San Siro finì in grisaglia nei Palazzi della politica. Damiano invece ha grande corsa e senso della mischia. Ha sì l’aria del chierichetto- il suo soprannome- anche se barba lunga e riccioli neri, ricordano di più un prete di strada. Contatto con la gente - a piccoli gruppi, niente comizi coi leader del centrosinistra, niente bagni di folla - piuttosto sguardo negli occhi. La campagna elettorale ha confermato il metodo del candidato civico che piacerebbe anche all’altro Francesco amato a Roma o al neo presidente Cei cardinal Zuppi.
Radici solide, impegno, valori. “Sono cresciuto in montagna dove la natura ti interroga sul senso della vita”, racconta a Famiglia Cristiana durante un Festival biblico di qualche anno fa. “La nostra comunità era un grembo che ti accoglieva, ti proteggeva, ti insegnava i valori veri, dove si viveva il vangelo, se ne diffondeva il messaggio, si ascoltava la Sacra Scrittura”. Un centrocampista equo e solidale, dall’”anima candida” (altro soprannome), senso del gol e idee chiare. Negli ultimi tempi nella capitale della cristianita’ si fa male sul serio, sta un anno fermo e si riduce lo stipendio a 1500 euro al mese. Poi dopo una breve parentesi nella cattolicissima Spagna e qualche mese nei Queen’s Park Rangers di Flavio Briatore- scappò presto- tenta l’avventura in Cina. Primo italiano nell’Impero celeste, a guisa del gesuita Matteo Ricci.
Poi lascia il professionismo per diventare sindacalista dei calciatori. Quando organizza il primo sciopero nazionale per il mancato rinnovo del contratto collettivo si attira la facile ironia di chi non apprezza la difesa di una categoria di milionari privilegiati. Tommasi non si scompone, spiega che il mondo dorato del pallone è fatto di poche star e di molte controfigure, carriera breve e persino problemi economici. E anche “la vita dei campioni non è tutta rose e fiori, ad esempio ci si allontana da casa molto presto”.
Convincente? Comunque fuori dai luoghi comuni, controcorrente come deve essere chi come lui ha scoperto Don Milani durante il servizio civile - primo calciatore obiettore di coscienza. Padre di sei figli. “Oggi, da genitore di studenti, tengo presente i suoi insegnamenti”. Sarà per questo che diversi capitoli del suo programma elettorale si aprono con citazioni del prete di Barbiana. “Mi piacerebbe ricreare un clima di partecipazione, rilanciare il senso della comunità”. Con la moglie Chiara ha fondato ha fondato una scuola bilingue considerata all’avanguardia nella didattica. Intanto continua a giocare - Gianni Mura andò a raccontarme le gesta - nei dilettanti del Sant’Anna d’Alfaedo, seconda categoria, allenato da uno detto “Satana”.
In effetti nel suo percorso di beatificazione non mancano le sbavature -per dire, ha sconsigliato il coming out dei calciatori omosessuali e ama “L’alchimista” di Paolo Coelho. Ma nessuno è perfetto. In virtù dei rancori nella Lega potrebbe diventare sindaco della città che nel 1985 vinse l’unico scudetto con un altro pensatore erratico - Osvaldo Bagnoli - mentre il chierichetto Damiano iniziava la sua carriera nel Negrar. Di quei tempi conserva ancora un discreto sorriso da ragazzo. Come in Farewell di Francesco Guccini, suo pezzo preferito “sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent'anni portati così. Come si porta un maglione sformato su un paio di jeans”. Odore d’incenso, pallone e un minimo di trasandatezza. Il ritratto perfetto di un sindaco di strada che intende ribaltare l'immagine di una delle città più nere d'Italia. Tifoseria inclusa..