di Maria Pia Terrosi
Nel 2021 la difesa dell'ambiente è costata la vita a 358 persone. Erano 227 nel 2020 e 164 nel 2018. Continua a crescere di anno in anno - secondo i dati di Front Line Defenders - il numero degli eco attivisti uccisi. Persone che hanno tentato di difendere il proprio territorio da progetti di dighe gigantesche, da centrali con un pesante impatto sui loro villaggi, da miniere che inquinano le falde idriche, da deforestazioni illegali. Più della metà di questi "environmental heroes" appartengono a popolazioni indigene che non hanno altra alternativa che combattere per non finire private della loro terra e dei servizi che offre, indispensabili per la loro sopravvivenza.
Con 138 assassinii, il Paese dove schierarsi in difesa della Terra nel 2021 è stato più pericoloso è la Colombia, seguita dal Messico con 42 vittime e dal Brasile con 27. Ma omicidi si sono registrati anche in Argentina, Burkina Faso, Chile, Ecuador, Guatemala, Honduras, India, Kenia, Nicaragua, Perú, Filippine e Thailandia. Tutti luoghi in cui la difesa dell'ambiente e delle risorse naturali si scontra con grandi interessi economici e con la criminalità.
Colombia: la tempesta perfetta - Quasi un terzo degli omicidi si è verificato in Colombia. Secondo Jimena Sanchez del Wola - Washington Office on Latin America (organizzazione leader nella difesa dei diritti umani nelle Americhe) "lo spaventoso numero di omicidi che si registra in Colombia è il risultato di diversi fattori che danno luogo a una tempesta perfetta. Tra questi un alto livello di corruzione tra i funzionari governativi e la presenza di una magistratura spesso debole che non riesce a colpire i veri autori di questi crimini. A ciò si aggiunge in molte aree del Paese una significativa assenza dello Stato: zone che finiscono sotto il controllo di gruppi armati che in molti casi hanno interessi economici nella realizzazione di centrali e attività ad alto impatto ambientale. In molti casi poi gruppi armati e paramilitari o cartelli della droga fanno fuori gli eco attivisti colpevoli di ostacolare il loro controllo sul territorio".
In Messico lo Stato rinuncia alla difesa dell'ambiente - L'altro grande elemento di rischio è la mancanza di una rete istituzionale di difesa della natura. "Difendere il suolo e le risorse ambientali è difficile se mancano le finanze per farlo", ha affermato Thelma Gomez Duran in un'intervista rilasciata alla rivista La Nuova ecologia. "In Messico già prima della pandemia il budget destinato al settore ambientale è stato ridotto e il ministero dell'Ambiente ha subito significativi tagli. In pratica gli attivisti sono lasciati soli in prima linea".
Il Nobel Verde 2022 - Evitare l'isolamento e il silenzio sulle azioni degli eco attivisti è uno degli obiettivi del Goldman Environmental Prize. Istituito nel 1989 da Richard e Rhoda Goldman - una coppia di filantropi statunitensi - il Nobel verde è un riconoscimento attribuito a chi nel mondo agisce in prima persona nella difesa dell'ambiente e della natura. Un modo per raccontare come anche le persone comuni possono compiere azioni straordinarie per proteggere il nostro pianeta.
Quest'anno il premio è andato a 7 attivisti ambientali provenienti da Stati Uniti, Paesi Bassi, Ecuador, Thailandia, Australia e Nigeria.
Persone comuni, azioni straordinarie - Tra questi Alexandra Narvaez e Alex Lucidante che in Ecuador sono riusciti a difendere 32 mila ettari di foresta pluviale messi a rischio da pratiche illegali di disboscamento e dal bracconaggio.
In Thailandia Nuat Roy Kaew è riuscito a fermare un progetto che metteva a rischio ambiente e biodiversità di un'area naturale del Mekong fondamentale per la sopravvivenza di milioni di persone, distruggendo habitat naturali per realizzare nuovi canali di navigazione.
Premiato anche l'impegno di Julian Vincent, quarantunenne ambientalista che è riuscito a costringere le quattro più grandi banche australiane a interrompere i finanziamenti ai progetti riferiti alle fonti fossili.
Non è un premio da salotto - Quello che è certo è che il Goldman Environmental Prize non è un premio da esibire in salotto. Lo dimostra la drammatica storia di Berta Caceres, attivista ambientale e leader dei movimenti indigeni presenti in Honduras assassinata nel 2016. Solo un anno prima era stata premiata con il Golden per la sua lotta contro lo sfruttamento del territorio da parte di aziende minerarie e idroelettriche. In particolare aveva contrastato la realizzazione della diga sul fiume Gualcare, un progetto che avrebbe privato dell'acqua migliaia di indigeni Lenca.
Nel caso dell'omicidio di Berta Càceres si è finalmente riusciti a risalire al mandante. Il tribunale, l'anno scorso, ha riconosciuto Roberto David Castillo, ex presidente della società Desarrollos Energeticos impegnata nel progetto della diga, come corresponsabile dell'omicidio Càceres.