I mafiosi muoiono o in carcere oppure ammazzati. Non ha fatto eccezione Cosimo Di Lauro, 49 anni, trovato privo di vita alle sette e mezza di lunedì mattina sulla brandina della sua cella, nel carcere milanese di Opera, dove era recluso al 41bis, il regime di carcerazione più severo che l'ordinamento italiano consenta. Era il primogenito dei sette figli maschi del superboss del narcotraffico Paolo Di Lauro, detto “Ciruzzo 'o milionario”, che in decenni di affari criminali aveva creato un impero che dalla sua Secondigliano, periferia nord di Napoli, allungava i suoi tentacoli fino alla Spagna, all'Olanda e al Sud America. Il “sistema” dei Di Lauro aveva creato nella vasta area a nord di Napoli, roccaforte del clan, una area di spaccio di ogni tipo di droga alla luce del sole, la più grande d'Europa e forse del mondo. Quando il padre dovette darsi alla latitanza, il primogenito Cosimo, soprannominato “F1” (figlio uno) o anche “'o zoppo”, per i postumi di una caduta in motocicletta che lo aveva reso claudicante, prese le redini della cosca. Ma i suoi modi spregiudicati e sanguinari, la sua tracotanza e la sua assoluta mancanza di diplomazia, lo portarono presto in rotta di collisione con gli anziani colonnelli del clan, che si ribellarono al cambio generazionale che Cosimo stava imprimendo al “sistema”. Ne nacque una faida che non ha precedenti nella storia criminale d'Italia. Tra il 2004 e il 2005 oltre cento persone furono assassinate, molti di loro avevano l'unica “colpa” di essere imparentati con uomini del clan, altri erano semplici passanti o innocenti scambiati per i veri bersagli. Non furono risparmiate nemmeno le donne, una, Gelsomina Verde, uccisa e bruciata perché fidanzata con uno “scissionista”, un'altra, Carmela Attrice, perché madre di un pusher che aveva cambiato casacca. Anche di questi due delitti, come di molti altri, è stato accusato Cosimo Di Lauro (ma l'omicidio Verde è stato poi assolto), collezionando grazie alle accuse di diversi pentiti numerosi ergastoli. La sua fuga finì proprio nel bel mezzo della faida, gennaio 2005: aveva 32 anni. Le foto lo ritraggono in manette con i capelli lunghi neri e un impermeabile dello stesso colore. Il suo arresto portò rapidamente alla fine della guerra di camorra (che sarebbe poi riesplosa in seguito anni dopo). Da allora, per diciassette anni, Cosimo Di Lauro è stato seppellito al carcere duro passando da un penitenziario all'altro per sette volte. Le sue condizioni mentali ne hanno risentito irrimediabilmente. Almeno stando a quanto raccontano i familiari e gli avvocati. Dal 2011 non ha più voluto incontrare nemmeno la madre. L'ultimo a vederlo è stato il fratello Antonio, riferì di averlo trovato in uno stato animalesco. Non si tagliava più barba e capelli, urinava sul pavimento della sua cella, non si cambiava i vestiti, fumava cento sigarette al giorno e i suoi denti erano diventati neri. La notte ululava per ore, oppure rideva a crepapelle all'improvviso. Per questo motivo la sua convivenza con altri detenuti era impossibile e Cosimo Di Lauro passò quasi tutto il tempo in isolamento. Si disinteressa completamente dei numerosi processi, rinunciando a presentarsi alle udienze. Ai suoi avvocati disse nell'ultimo incontro che aveva “una importante riunione a cui doveva partecipare in quanto capo di un mondo parallelo”. I medici dei vari istituti di pena non hanno potuto fare altro che imbottirlo di psicofarmaci di ogni tipo. Gli avvocati hanno chiesto diverse volte che venisse curato in strutture idonee, ma per i magistrati antimafia c'era il convincimento che Di Lauro junior stesse inscenando la follia per attenuare il carcere duro. Secondo uno dei suoi avvocati, Saverio Senese, “se fingeva, era un attore da oscar”.
Il personaggio, a suo modo tragico, raccontato dai pentiti come un feroce sanguinario che gioiva dei tanti morti ammazzati nella faida, il giovane che ereditò un impero e in pochissimi anni lo distrusse, ha ispirato la figura del boss Genny Savastano nella fiction “Gomorra”. Ma l'epilogo della sua vita non è stato all'altezza della trama di un film. La morte è arrivata nella notte tra domenica e lunedì, quasi certamente nel sonno. La mattina le guardie carcerarie si sono accorte che il detenuto non si svegliava e sono entrate nella cella, ma Cosimo Di Lauro era già freddo. La Procura ha comunque aperto un fascicolo di indagine ipotizzando l'accusa di omicidio colposo a carico di ignoti. È stata disposta una autopsia per stabilire quale è stata la causa della sua morte, se si è tratta di un suicidio (ma il cadavere non presentava segni in tal senso) o se sia stato intossicato da qualche sostanza proibita o se le cure farmacologiche somministrate in carcere non ne abbiano determinato la morte. E anche se sia stato corretto lasciarlo in una cella normale invece che in una struttura ospedaliera, come chiedevano i suoi legali nelle loro istanze. Eseguita l'autopsia, il cadavere sarà sepolto in forma strettamente privata, per espresso divieto di svolgere funerali pubblici. Ma anche senza il divieto, difficilmente si sarebbero presentati in molti a piangere sulla sua bara.