Prezzi folli, fare il pieno in Italia è ormai un salasso. Il taglio delle accise non basta più. È una corsa senza freni. La super è tornata stabilmente sopra i 2 euro.
E lo sconto (tagli alle accise decise dall’esecutivo Draghi) scade l’8 luglio, il governo può solo rinnovarlo. A ridosso dell’estate – quando i carburanti tornano notoriamente sotto pressione – è una ulteriore mazzata. È vero che Supermario e il ministro Daniele Franco stanno già lavorando ad un nuovo provvedimento per calmierare i prezzi ma, per ora, non c’è niente di scritto.
L’idea è quella di varare un pacchetto che comprenda carburanti e bollette di elettricità e luce. A fine mese conosceremo le decisioni prese. Ma quasi certamente si andrà verso una proroga del taglio delle accise.
IL PIENO VOLA, LA STANGATA SUI PREZZI È FORTE. SALVIAMO L’ESTATE - Dall’inizio della guerra (24 febbraio) fare il pieno costa 5 euro in più. Cioè 50 euro in più a bimestre. E su un bilancio familiare già in sofferenza questo ennesimo rincaro è un colpo durissimo da incassare. Se poi aggiungiamo i “tradizionali” rincari estivi – inevitabili, grottescchi, velenosi -non è esagerato parlare di allarme prezzi. Dunque di allarme sociale. Il radar di Draghi ha intercettato il crescente disagio, è un malumore sempre più diffuso , tanto è vero che sta filtrando in queste ultime ore una proroga dei tagli fino al 31 dicembre. Senza tali provvedimenti il prezzo reale alla pompa sarebbe già oltre i 2 euro e mezzo.
I BALZELLI CHE ANCORA PESANO SUI CARBURANTI - Sono tanti. Sono troppi. Sono fuori del tempo e della logica. Eppure resistono. Sono imposte di consumo introdotte quasi un secolo fa (1930) e mai più eliminate. Anzi. Nel 1995 (governo Dini) – furbescamente – sono state raggruppate in un’unica imposta indifferenziata. Sono stati eliminati i riferimenti originali.
Sicché oggi non ha alcun senso parlare – come fanno anche autorevoli fogli – di accisa per finanziare la guerra d’Abissinia (1935), per la crisi di Suez (1956), il disastro del Vajont (1963), l’alluvione di Firenze (1966), il terremoto del Belice (1968),del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980). Resta comunque una imposta indiretta iniqua in quanto non tiene conto ne’ del valore dei beni né tantomeno del reddito e della capacità contributiva del cittadino, come avviene per le altre tasse. Ma tant’è. Nessuno si azzarda a toccare questo tesoro che vale almeno 24 miliardi. Dunque tira aria di austerity, novembre 1973. Torneranno le domeniche a piedi?