di Gabriella Cerami
Come sempre ci pensa papà. Giovedì Babbo Beppe arriva a Roma e ancora una volta dovrà fare una delicatissima operazione di peacekeeping e infilare decine di caschi blu, simil Onu, sulla testa di tutti quanti. Mai come adesso il Movimento 5 Stelle è stato vicino alla scissione. Mai come adesso i risultati elettorali sono stati così deludenti portando M5s sull’orlo del disastro. E in più, come niente fosse, il partito litiga attorno alla questione della guerra in Ucraina. Gli attacchi del presidente della Camera, Roberto Fico, rivolti al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, erano inimmaginabili, eppure ci sono stati: “Non è Di Maio contro Conte, ma Di Maio contro tutto il Movimento”, ha detto in mattinata Fico. Il vicepresidente M5s Riccardo Ricciardi ha parlato di Di Maio come “un corpo estraneo da cacciare”. È naturale che il Garante Grillo sia nervoso e deluso e ora tocca a lui fermare l’escalation degli odii, congelare l’espulsione di Di Maio e rinviare l’addio. Perché che l’addio ci sarà ormai ne sono sicuri in tanti. Si tratta soltanto di vedere quando e come sarà. Dando per scontato però una cosa: la rottura sarà clamorosa, e probabilmente sanguinosa.
Il ruolo di Babbo Beppe a questo punto è davvero cruciale. Più che in ogni altro caso di conflitto armato tra i suoi discepoli, che lui non ama più. La guerra interna e le dichiarazioni di chi vuol cacciare Di Maio non piacciono a Grillo: “Così ci biodegradiamo in tempi record”, avrebbe detto a chi lo ha sentito in queste ore, secondo quanto riporta la AdnKronos. Il termine espulsione usato contro l'ex capo politico e attuale ministro degli Esteri lo avrebbe mandato su tutte le furie, motivo per cui nessuno più, neanche la nota del Consiglio nazionale, parla di epurazione. Erano tutti pronti a radiarlo ma da casa Grillo sono partiti gli alt (Ma vogliamo suicidarci più di quanto non lo abbiamo fatto finora?) e il processo è stato interrotto. Alla fine il Consiglio nazionale M5s riunito senza soluzione di continuità da ieri sera alle 21, ma nei fatti anche da molto prima, non ha affondato il colpo. Anzi tutt’altro. Nessuna sfiducia al ministro degli Esteri, nessun attacco, semplicemente un “confidiamo che cessino queste esternazioni lesive dell’immagine e della credibilità dell’azione politica del Movimento 5 Stelle”. Riferito alle volte in cui Di Maio ha accusato Conte di essere contro la Nato e contro l’Unione europea perché contrario all’invio di nuove armi in Ucraina. Ma anche su questo il Consiglio nazionale grillino ha cambiato idea, scompare la richiesta di un voto parlamentare in caso di nuovo decreto sugli armamenti ma si ribadisce semplicemente la centralità di Camera e Senato. Un festival dell’impotenza sta andando in scena insomma.
C’è voluta una grande opera di mediazione, ma soprattutto c’è voluto Grillo che, inalberato, ha chiesto a tutti di placarsi e il primo a essere stato cauto è stato proprio Conte. E così per tutta la mattinata ci si è chiesto: allora esce o non esce la nota contro il reprobo? Uscirà, chissà come e chissà quando. Chiara Appendino, il capogruppo alla Camera Davide Crippa e Alfonso Bonafede hanno cercato di mitigare alcuni passaggi più spinosi e più duri contro Di Maio che invece i vicepresidenti Gubitosa, Ricciardi e Turco avrebbero voluto inserire, come per esempio un invito a lasciare il Movimento 5 Stelle. Ma ciò avrebbe comportato la scissione immediata ed è ciò che Grillo ha chiesto a Conte di scongiurare.
Naturalmente, quando c’è in mezzo Conte, la prosa dei comunicati è prolissa, gonfia di avvocatese, tipico eloquio da azzeccagarbugli. Quel che si capisce chiaramente però, nella sovrabbondanza vaporosa di formule e di fughe semantiche, è che per ora manca la forza di abbattere Di Maio. Il quale, finché gli altri non riprenderanno in mano il bazooka dopo questa tregua armata che non somiglia affatto a una tregua, ha deciso la strategia della goccia cinese, del controcanto quotidiano, del guerrigliero che abita la giungla vietnamita sperando che l’esercito nemico inciampi, si perda, si divida e possa cadere nelle trappole disseminate sul terreno da Giggino Vietcong che non ha fretta di combattere né di vincere. Dicono i suoi: “E’ nella fase wait and see”. Aspetta e cerca di capire non solo le mosse di Conte e delle sue truppe ma soprattutto quelle degli eventuali compagni di strada della nuova avventura politica che potrebbe intraprendere. Non quella di un partitino personale e centrista – no, non farà una sorta di nuova simil Udeur, come aveva sarcasticamente preventivato tanto tempo fa uno che lo conosce bene e che gli è stato amico, il Dibba – bensì quella di un rassemblement filo-draghiano per arrivare al quale Di Maio è interessatissimo a vedere come si evolverà la doppia crisi in corso. Quella della Lega, dove con Giorgetti il rapporto tra i due è ormai quasi simbiotico, o almeno così lo descrivono gli amici di entrambi, e se si staccasse una costola nordista e riformista dal partito di Salvini troverebbe non solo Di Maio ma tanti altri soggetti pronti a intavolare un discorso. Lo stesso discorso vale per Forza Italia. Quanto Berlusconi riuscirà a tenere ancora tutti in un percorso, non condiviso da molti azzurri a cominciare dalla Carfagna con cui Luigi ha un contatto continuo e molto stretto, che potrebbe portare il Cavaliere tra le braccia dell’ex Capitano? “Ora è presto per qualsiasi mossa e per qualsiasi scenario”, ha detto Di Maio ai suoi. Da politico ormai sperimentato sa che i giochi veri si fanno poco prima delle elezioni. Sarà allora che l’Agenda Draghi, con o senza la partecipazione del premier, troverà un contenitore per rappresentarla e per reiterarla. E in quel contenitore – questa al momento l’unica certezza – Di Maio ci sarà.