La fenomenologia del grillismo contempla l’ascesa e caduta del primo capo politico apparente, Luigi Di Maio, un disoccupato a cui la democrazia, più efficiente del miglior navigator, ha saputo attribuire il reddito di cittadinanza e l’impiego precario ma generoso rispetto al profilo lavorativo, e l’ascesa dell’avvocato Giuseppe Conte, secondo capo politico apparente, che cerca di darsi la veste di leader con il pensiero alle prossime elezioni. Giuseppe Conte sporge la testa dalla maggioranza parlamentare, mentre Di Maio vi si acquatta per rinverginarsi.
A loro modo, i due personaggi sono la metafora di un sistema politico malato, che cerca di guarire affidandosi ai demiurghi e agli sprovveduti, alternativamente o contemporaneamente. Com’è stato possibile che Di Maio sia potuto passare direttamente dal nulla a vicepresidente del Consiglio, ministro del Lavoro, ministro dello Sviluppo economico, ministro degli Esteri? Com’è stato possibile che Conte sia stato preso da uno studio professionale e innalzato in una notte a capo del Governo? Qualcosa non ha funzionato secondo l’ordine auspicabile del “Governo rappresentativo”. Bisogna sottolinearlo. I “salvatori” Mario Monti e Mario Draghi sono stati nominati per competenza, esperienza, reputazione (tutte opinabili quanto volete, ma esistenti!) dal Presidente della Repubblica, mentre della nomina di Conte e Di Maio sono responsabili i partiti oligarchici e la democrazia malintesa e peggio funzionante. Che la sovranità appartenga al popolo è uno dei miti più radicati anche perché sottintende che il popolo ne faccia buon uso se non proprio l’uso migliore. Tuttavia resta un mito. Troppo spesso il popolo ha speso la sovranità per consegnarsi a chi si proponeva, e lo diceva e l’ha fatto, di togliergliela. Gl’incompetenti e gl’improvvisatori al potere sono la negazione della vera democrazia, l’abbaglio e l’ignoranza delle fasce di elettorato meno provvedute. Al pari della “fantasia al potere” che nel passato altri “escogitatori di novità” (così gli Antichi bollavano i rivoluzionari e i benintenzionati) invocavano il cambiamento tanto per cambiare.
L’obiezione che ronza nella testa degli estimatori della democrazia dell’incompetenza e dell’improvvisazione è che i 5 Stelle, avendo vinto le elezioni, avevano il diritto di scegliere. No, avevano il diritto di governare, ma non di insediare al Governo chiunque avessero voluto. Avevano persone che per competenza, esperienza, reputazione potessero essere qualificate a diventare autorità governative? Se sì, sì; se no, no. Tante volte i capi di Stato hanno detto “no, questo no” ai nomi proposti dai partiti. Perfino per il presidente del Consiglio sono state presentate al Capo dello Stato delle “rose” da cui egli potesse scegliere l’incaricato di formare il Governo.
Ora Giuseppe Conte ha l’occasione di emendare i grillini dal masochistico, per loro e per l’Italia, “uno vale uno” emblematizzato da Luigi Di Maio. D’altro canto, Conte non può volere con sé parlamentari e possibili ministri ai quali lui, pur sempre un professore universitario, non concederebbe la sufficienza neppure in un sessantottino esame di gruppo. Ne ha l’occasione e lo strumento giuridico: il divieto di triplo mandato parlamentare, distintivo del grillismo, che lo stesso fondatore intende conservare come principio indefettibile contro la sclerosi politica del Movimento. Ma c’è un ma. I giornali riferiscono che egli intenda applicare il divieto al modo italiano che, nella specie, significa con interpretazione avvocatesca. Saranno ammesse le amichevoli eccezioni che Conte stabilirà pro domo sua. Se fosse vero, egli confermerebbe di essere uno che politicamente vale nessuno e che del grillismo possono fidarsi solo gli elettori di bocca buona non ancora ravveduti.
Così Giuseppe Conte, il nuovo capo politico, sempre apparente, del grillismo, somiglierebbe come una goccia d’acqua al vecchio capo apparente, Luigi Di Maio, inaffidabile e inadatto per ammissione dello stesso Conte e perciò da restituire alla vita civile. Ma tale punto riguarda direttamente i grillini e solo indirettamente gl’Italiani che mai li voterebbero. Tuttavia questi Italiani stanno per trovarsi sulla scheda elettorale un lezioso Di Maio non solo patinato di atlantismo sul sottostante connaturato terzomondismo, oscurantismo, giustizialismo, qualunquismo, eccetera, ma anche pronto ad intrupparsi in altri partiti, essendo scevro di coerenza ideale e disancorato da qualsivoglia ferma convinzione politica diversa dallo sfrontato conservarsi a galla costi quel che costi. Non sorprende che egli, sconvolto dall’orrore del seggio vuoto, tenda e tenti di assicurarsi altrove un seggio sicuro. Stupisce invece che non risulti discaro ad altri partiti, i quali però, prendendoselo con sé, dimostrerebbero di essere come non dovrebbero e di somigliargli.
Il crepuscolo del grillismo avviene in un’orgia di trasformismo gattopardesco, tipico della storia italiana, che non ha mai portato granché di buono.