di Giorgio Merlo
Nella costruzione del partito di Centro che si presenterà alle prossime elezioni politiche - piaccia o non piaccia ai sostenitori e agli ultras del ‘bipolarismo selvaggio” - registriamo, curiosamente, due atteggiamenti opposti. Nel metodo e quindi anche nel merito. Due approcci molto diversi, se non addirittura alternativi, nel momento in cui si cerca di coprire un vuoto politico, culturale e programmatico creato dal fallimento della sub cultura populista e, contemporaneamente, dalla crisi pesante del sovranismo della Lega salviniana. Un vuoto politico che non può che essere colmato da un progetto politico e di governo rappresentato proprio dal Centro e, nello specifico, da una credibile e rinnovata “politica di centro”.
Ora, nel gran parlare su tutti gli organi di informazione del futuro Centro - partito o federazione poco importa - accompagnato da ricerche demoscopiche che confermano uno spazio elettorale che si aggira fra il 13 e il 18% ci sono, appunto, due atteggiamenti alternativi nell’intraprendere questo progetto. C’è il metodo di Clemente Mastella - per semplificare - che punta a dare un’identità politica e una ossatura organizzativa a questo progetto, sempre più utile ed indispensabile, attraverso il cosiddetto metodo “inclusivo”. Ovvero, un soggetto plurale - non a caso si parla di una “Margherita 4.0” - con una leadership diffusa ma capace di ricomprendere nel partito tutti coloro che non si riconoscono più nella logica degli “opposti estremismi” che ha caratterizzato il confronto politico italiano in questi ultimi anni. È persin banale ricordare che un approccio del genere non contempla pregiudiziali di natura personale o politica di alcun genere. Pregiudizi che, di norma, sono dettati da motivazioni radicalmente estranee ed esterne a qualunque valutazione politica. Perché, non a caso, si tratta di ridicoli pregiudizi personali. Il secondo approccio è quello interpretato per eccellenza da Carlo Calenda. Un metodo, questo, che si basa sull’esclusione aprioristica di singoli leader e singoli partiti in virtù di una patente di moralità, di competenza e di novità che viene distribuita dallo stesso Calenda a destra come a manca. E, di conseguenza, anche al centro. Si tratta di un atteggiamento che in politica, peraltro, è sempre esistito a prescindere dalle singole stagioni storiche e risponde a criteri aristocratici, salottieri e moralistici che traccia confini di appartenenza per lo più misteriosi e anacronistici. Perché, appunto, prescindono da qualsiasi valutazione di ordine politico se non quello di riaffermare la propria indiscussa ed esclusiva leadership. Di fronte a questo quadro, peraltro oggettivo e non di parte, è persino inutile sottolineare che il progetto politico per ricostruire nel nostro Paese un’area riformista, moderata, centrista, innovativa e di governo, prosegue comunque sia senza sosta e senza tregua. Non sono certamente i pregiudizi personali di chicchessia a fermare questo progetto. Anche perché l’area di riferimento è talmente vasta ed articolata a livello politico, culturale e sociale che non si ferma di fronte a un singolo attore che pratica atteggiamenti di chiusura e di esclusione. Perché quello che conta, oggi, è il progetto di dare una rappresentanza politica, e quindi una voce elettorale, a chi si sente da troppo tempo politicamente privo di un riferimento concreto. L’esplosione di questo bipolarismo, anche se la legge elettorale non viene modificata - come quasi sicuramente accadrà - non cambia di una virgola la bontà e l’efficacia del progetto. Una iniziativa politica e culturale che non può che dar vita a un soggetto plurale e che, soprattutto, non contempla la presenza di un “capo” che dispensa patenti di inclusione o di esclusione a suo piacimento. Se si vuole rompere il meccanismo dei partiti personali e della eccessiva e spietata personalizzazione della politica, la strada non può che essere quella della leadership diffusa da un lato e della pluralità delle culture politiche dall’altro. Appunto, una sorta di “Margherita 4.0”. Ecco perché, infine, si tratta di capire quale dei 2 “lodi” prevarrà nella costruzione concreta del partito. Se prevale quello di Mastella, per semplificare, il progetto sarà compiuto e organico perchè plurale e realmente democratico. Se dovesse prevalere quello di Calenda, inesorabilmente si tratterà di un progetto limitato perché circoscritto solo a chi è tollerato e ben voluto dal “capo”. È inutile dire che il nuovo partito di Centro dev’essere inclusivo, perché moderno, innovativo, riformista e democratico. E soprattutto culturalmente plurale.