di Matteo Forciniti
Entrambi sono stati mossi dallo stesso obiettivo: cercare di mostrare la realtà, anche quella nascosta, anche quella che da fastidio. Il rapporto tra Pasolini e Caravaggio è stato al centro dell’ultima videoconferenza svoltasi giovedì sera, curata dal professor Gastón Garbarino e organizzata dagli Efasce sudamericani, gli Enti Friulani di Uruguay, Argentina e Brasile, insieme per un progetto culturale costellato da varie iniziative.
“Tanto Pasolini come Caravaggio si allontanano dai canoni tradizionali dell’arte egemonico e borghese rappresentando lo sconosciuto, l’invisibile, vale a dire tutto quello che viene messo al margine dalla società” ha spiegato il professor Gastón Garbarino durante la conferenza proposta da Efasce Junin (Argentina) che ha ricevuto il patrocinio del Consolato italiano e del Comites di La Plata.
Attraverso le analisi delle opere d’arte e i fotogrammi dei film è possibile analizzare in profondità queste affinità tra due figure che hanno lasciato un’impronta rivoluzionaria in vari ambiti della cultura italiana.
Come ha scritto lo stesso Pier Paolo Pasolini basandosi sulle analisi del critico Roberto Longhi, “Caravaggio ha inventato tutto un nuovo mondo, tutto quello da mettere davanti al cavalletto nel suo studio: tipi nuovi di persone, tipi nuovi di oggetti, tipi nuovi di paesaggi”. Un altro aspetto fondamentale è l’invenzione di una nuova luce: “Al lume universale del Rinascimento platonico ha sostituto una luce quotidiana e drammatica. Sia i nuovi tipi di persone e di cose che il nuovo tipo di luce, il Caravaggio li ha inventati perché li ha visti nella realtà. Si è accorto che intorno a lui -esclusi dall’ideologia culturale vigente da circa due secoli- c’erano uomini che non erano mai apparsi nelle grandi pale o negli affreschi, e c’erano ore del giorno, forme di illuminazione labili ma assolute, che non erano mai state riprodotte e respinte sempre più lontano dall’uso e dalla norma, avevano finito col divenire scandalose, e quindi rimosse. Tanto che probabilmente i pittori, e in genere gli uomini fino al Caravaggio probabilmente non le vedevano nemmeno”. La terza invenzione descritta dall’intellettuale friulano è un diaframma “anch’esso luminoso, ma di una luminosità artificiale che appartiene solo alla pittura e non alla realtà”. Questo diaframma “divide sia lui, l’autore, sia noi, gli spettatori, dai suoi personaggi, dalle sue nature morte, dai suoi paesaggi”. “Tutti i personaggi del Caravaggio” -prosegue il testo- “sono malati, essi che dovrebbero essere per definizione vitali e sani, hanno invece la pelle macerata da un bruno pallore di morte”.
Il professor Garbarino si è soffermato in particolare sul nuovo concetto di luce: “Fino ad allora la luce veniva considerata come il tutto mentre adesso viene utilizzata per illuminare qualcosa di specifico, un dettaglio, una mano o qualsiasi cosa in grado di conferire anche un effetto che può essere drammatico. Grazie alla luce siamo in grado di vedere qualcosa che prima non potevamo vedere, portare a galla questa realtà ci porta anche alla scoperta di nuovi personaggi”.
E proprio per descrivere tutti questi aspetti che nel corso della serata sono state analizzate alcune tra le opere più famose di Caravaggio, tra cui: “Narciso”, “Vocazione di San Matteo”, “Conversione di San Paolo”, “Morte della Vergine”, Fanciullo con canestro di frutta”.
Per quanto riguarda invece Pasolini, la rappresentazione di questa realtà, di questo mondo nascosto e rimosso dalla società è particolarmente evidente nei film, tra cui quelli citati: “Accattone”, “Mamma Roma” e “Il Vangelo secondo Matteo”.
“Pasolini” -ha affermato lo studioso argentino- “ci mostra i bassifondi della periferia romana, un mondo fatto tra le altre cose di prostitute e piccoli criminali che nessuno aveva mai mostrato prima andando contro l’ipocrisia di una società che preferisce voltarsi dall’altra parte. Tanto le opere del pittore e come i film del regista ci invitano a stropicciarci gli occhi e prestare attenzione a un mondo che prima non vedevamo”. Fare questo implica anche una riflessione interna che parte da una domanda da rivolgere a noi stessi: “Cosa facciamo quando guardiamo?”.