DI JAMES HANSEN
Qualcosa di strano - o almeno di imprevisto - sta succedendo. È dagli anni ’90 del secolo scorso che il raggiungimento dell’età pensionabile non è più necessariamente un agognato traguardo, il momento per abbandonare finalmente le fatiche del lavoro quotidiano e, magari, rilassarsi e fare quella crociera attorno al mondo che vi siete sempre promessi, il premio di fine carriera.
Nei paesi anglosassoni, il numero di persone che scelgono di ignorare la possibilità di godersi l’ozio permanente che dovrebbe arrivare con l’età pensionabile è fortemente cresciuto negli ultimi decenni. Negli Usa, nel 2017 il 32% dei lavoratori nella fascia d’età tra i 65 e i 69 anni lavorava ancora, molti di più del 22% fatto registrare nel 1994. Il fenomeno è marcatamente presente anche nel Regno Unito, dove il tasso di quelli ancora ‘in servizio’ dopo il 65 anni è raddoppiato tra il 1993 e il 2018.
Il fenomeno è complesso. Forse è bene iniziare da cosa doveva essere l’età pensionabile nell’epoca in cui è stata inventata e a cosa doveva servire. Fino a tempi storicamente recenti, il lavoro era tendenzialmente molto più usurante di quanto non sia oggi e solo una modesta minoranza aveva - se non altro - la possibilità di ‘faticare’ stando comodamente seduta. I più si spezzavano la schiena nelle fabbriche o piegati sulle macchine da cucire oppure a massacrarsi nelle miniere e nelle acciaierie. Inoltre, l’attesa di vita era minore di quella di oggi. In molti casi, il più classico regalo d’addio al ‘pensionando' - l’orologio d’oro, o almeno di colore oro - aveva, senza l’intento, il sapore di un cattivo scherzo: “Ecco, bravo, ti aiuterà a contare le ore e i giorni, non tanti, che hai ancora da vivere…”
Il fatto è che ormai la vita di tanti non finisce a pochi anni dalla pensione. Si è, solitamente se non sempre, ancora perfettamente funzionanti, per niente distrutti dalla tremenda fatica della carriera. Oltre a ciò - e malgrado la maniera in cui ne parliamo - il ‘lavoro' oggi in parecchi casi è più leggero, meno faticoso, e anche più interessante di una volta: forse in maggior misura della stessa promessa del dolce far niente che doveva essere il premio dopo tanti anni passati a ‘sgobbare'.
Ovviamente, nella scelta di proseguire con il lavoro c’entrano anche molti altri fattori: le ansie per le finanze personali future, l’economia incerta, i governi che cercano di limitare le uscite pensionistiche. Anche la pandemia COVID ha avuto l’effetto di sfidare molte ‘certezze’ - insegnando che restare a lungo in casa non è necessariamente una meraviglia - tant’è che nel Regno Unito i sondaggi indicano che due terzi di quelli che si sono pensionati finora quest’anno si aspettano di continuare a lavorare lo stesso in qualche maniera, anche se è difficile proiettare dati simili su tanti paesi, tante culture e tanti sistemi pensionistici diversi.
Il titolo del libro di Cesare Pavese, “Lavorare stanca”, del 1936, è ancora proverbiale - anche tra quelli che non sanno che è una raccolta di poesie… È però chiaro oggi che anche molte altre cose ‘stancano' quando non si ha più da fare a sufficienza, quando Netflix diventa insopportabile, come anche i piccoli lavori di giardinaggio - se si ha la fortuna di possedere un giardino… C’è, tutto sommato, di peggio che lavorare ancora, almeno ai tempi nostri.