di Giorgio Merlo
Di preamboli ne abbiamo conosciuti parecchi nella storia politica del nostro Paese. È indubbio che il più celebre è stato quello vergato da Carlo Donat-Cattin nel febbraio del 1980 durante un importante congresso democristiano che segnò, “allo stato dei fatti” - per citare le parole precise scritte proprio da Donat-Cattin - “l’impossibilità di stringere accordi politici e programmatici con il Partito comunista italiano”. Tutti sappiamo quali sono state le conseguenze di quel decisivo atto politico. Finì la politica di “solidarietà nazionale” e ripartì la stagione dell’alleanza tra la Democrazia Cristiana e i partiti di democrazia laica e socialista. Vabbè, altri tempi, altri partiti e, soprattutto, altri leader e statisti politici.
Ma quello che conta, oggi, rilevare è che dopo i risultati di questo importante turno amministrativo, dopo la scissione pesante e significativa all’interno del partito populista per eccellenza, cioè i 5 stelle, e dopo la proposta del segretario del Pd di aprire “una nuova stagione dell’Ulivo” per dire basta ai populismi, può decollare veramente un’altra fase politica nel nostro Paese. Una fase che non può non essere contrassegnata dalla rimozione definitiva ed irreversibile della malapianta del populismo dall’orizzonte della politica italiana. Pur sapendo che questa deriva anti democratica e anti politica continua a correre nel sottosuolo della società italiana ed è pronta a riemergere come un fiume carsico ogni qualvolta la politica si indebolisce, le istituzioni entrano in crisi, la classe dirigente si impoverisce e l’azione di governo non è più efficace.
Come è puntualmente accaduto con la vittoria massiccia dei 5 stelle, cioè del partito che aveva l’obiettivo di radere al suolo i canoni tradizionali che hanno storicamente contrassegnato la democrazia italiana nel suo percorso travagliato e complesso. E cioè, dai partiti democratici e organizzati alle culture politiche, dalla competenza della classe dirigente alla valorizzazione del pluralismo sociale e culturale, dalla centralità del Parlamento all’importanza della democrazia rappresentativa, dalla cultura della mediazione alla ricetta riformista, dalla cultura delle alleanze al ruolo dei corpi intermedi. Insomma, tasselli di un mosaico che, adesso, devono essere recuperati, rilanciati e valorizzati.
E per centrare questi obiettivi è oltremodo necessario ed indispensabile, prima di orchestrare e pianificare nuove alleanze, porre uno stop definitivo al populismo. E questo non per ragioni riconducibili a pregiudizi di natura politica e men che meno a pregiudiziali di natura personale. Ma per una ragione squisitamente e laicamente politica. Come, del resto, fece in altra epoca Carlo Donat-Cattin in quel celebre congresso democristiano.
Per questo motivo è utile stendere adesso un “preambolo” anti populista. Che, tradotto in termini concreti ed immediatamente percepibili, significa porre uno stop ad alleanze con i partiti e i movimenti che non rinnegano alla radice qualsiasi deriva populista, demagogica, anti politica, qualunquista e giustizialista. Tutti elementi che hanno contribuito a squalificare la politica nel nostro paese che ha dovuto, per l’ennesima volta, - e per fortuna per la salute del “sistema Italia” - far ricorso ai tecnocrati per dare stabilità e sicurezza all’azione di governo. Ma un “preambolo” anti populista è la base essenziale per costruire alleanze credibili e politicamente coerenti e stabili. Anche perchè la sub cultura populista di un partito o di un movimento che l’ha inscritto nella sua carta di identità, difficilmente ci rinuncia se non per motivazioni puramente contingenti e di convenienza per poi riproporlo appena possibile.
Ecco perché la stessa proposta di Letta di un “nuovo Ulivo” al posto di un misterioso “campo largo” - per fermarsi all’ultima proposta politica sul tappeto - può avere un seguito credibile e realisticamente percorribile se le premesse sono chiare e inequivoche. E, al riguardo, la stesura di un semplice ma chiaro “preambolo” può nuovamente condizionare il futuro e la prospettiva del nostro sistema democratico e anche costituzionale.