DI Antonio Calabrò
Ricorrenze e somiglianze. Si parla e si scrive molto, in questi giorni difficili, degli anni Ottanta. Ricordandone i fasti: l’Italia campione del Mundial di calcio, a Madrid, l’11 luglio del 1982, giusto quarant’anni fa. Ma anche le pagine cariche d’ombra: “L’inflazione (8%) torna ai livelli del 1986”, titola “Il Sole24Ore”, sabato 2 luglio. Celebrando i successi di un paese che provava a chiudere con una grande festa sportiva e popolare le angosce e i lutti degli “anni di piombo”. E non dimenticando però i rischi che, come allora, corrono il tenore di vita e le capacità d’acquisto delle famiglie italiane.
Le ricorrenze hanno uno straordinario carico di fascino. Consentono di giocare con il gusto agrodolce dell’Amarcord, selezionando nei cassetti della memoria soprattutto ciò che ci fa più piacere. Ma rischiano di farci scivolare lungo la deriva della malinconia e della nostalgia, illudendoci che il “come eravamo” sia meglio del come siamo e forse saremo. E così vale forse la pena modificare parzialmente il campo di gioco e affidarci alla severità della ricostruzione storica. L’avvenire della memoria, negli schemi dei doveri intellettuali e morali, chiede sguardo lucido, tra passato e futuro. E consapevolezza critica.
Guardiamo meglio, dunque. Proprio a quel luglio 1982 della finale tra Italia e Germania, sul campo dello stadio Santiago Bernabéu di Madrid. In campo, gli azzurri allenati da Enzo Bearzot (eccoli, i nomi recitati da allora in poi come una litania: Zoff, Gentile, Cabrini, Bergomi, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Oriali, Graziani e, in panchina, Bordon, Dossena, Marini, Causio e Altobelli) e i tedeschi allenati da Jupp Derwall. In tribuna, accanto al re di Spagna Juan Carlos, alto e impettito, il presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini, tutto un guizzo di energia e tifo sincero. Finì, come tutti sanno, 3 a 1 per noi. Un trionfo.
“Voi non vi rendete conto di quel che avete fatto per il vostro Paese”, disse a caldo Pertini ai giocatori italiani subito dopo la vittoria, “intendendo rimarcare che non si trattava ‘solo’ di un risultato calcistico, ma qualcosa di più sostanzioso, a conferma che lo sport, quando si professa in forma di leggenda, assume un valore antropologico”, con tutte le sequenze “di un teatro laico e mitologico”, per dirla con le essenziali parole della ricostruzione d’uno scrittore sapido come Giuseppe Lupo.
Una data che prende come simbolo un successo sportivo e ne fa la metafora di un riscatto dalla cupezza dei tempi precedenti e di una ripartenza nel segno di un radicale rinnovamento di comportamenti e speranze.
Alle spalle, ci si lascia la stagione cupa e dolorosa cominciata con la strage di piazza Fontana, a Milano, nel dicembre del 1969 e seguita da attentati, agguati, sparatorie, tra le bombe delle “trame nere” neofasciste coperte anche da organismi interni allo Stato e le uccisioni firmate dai terroristi delle Brigate Rosse e degli altri gruppi dell’estremismo di estrema sinistra. Le tensioni politiche e sociali. La drammatica crisi petrolifera del 1973. L’inflazione che devasta l’economia, sino a toccare il tetto delle due cifre.
Davanti, una straordinaria voglia di vivere. La politica economica liberista di Ronald Reagan negli Usa e di Margareth Thatcher in Gran Bretagna (“Non esiste la società, esistono gli individui”). Il segno della “leggerezza” (secondo l’indicazione delle “Lezioni americane” di Italo Calvino e d’uno straordinario romanzo di Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, che diventa rapidamente un tormentone adatto all’ironia delle trasmissioni Tv, tra la Rai di “Quelli della notte” e “Indietro tutta” sotto la guida di Renzo Arbore e i canali Mediaset con “Drive in” ed “Emilio”). Tutto un grande allegro colorato impasto di mode e modi, eleganza e pubblicità (“Milano da bere”, recita un fortunato spot d’un amaro di successo), turboeconomia che alimenta Borsa in crescita e investimenti importanti per merito dell’ attivismo di piccole e medie imprese ma anche una spregiudicata finanza speculativa (il “fare soldi per mezzo di soldi”).
Un racconto dinamico e avido, comunque vitalissimo. Ma non l’unico racconto possibile da ricordare.
Perché proprio quel 1982 dell’indimenticabile festa del Mundial ha anche altre date, che scandiscono il tempo. 30 aprile, a Palermo, l’assassinio del segretario siciliano del Pci Pio La Torre e della sua guardia del corpo Rosario Di Salvo. 3 settembre, sempre a Palermo, la strage di via Carini, in cui perdono la vita il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa (da cento giorni prefetto della città con un mandato chiaro di combattere la mafia ma lasciato in solitudine e senza poteri) e, accanto a lui, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo: “Convergenza tra Cosa Nostra e settori politici ed economici”, dissero sulle origini del delitto i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Era sostenitore di una più severa e incisiva legge antimafia, La Torre. Approvata finalmente dal Parlamento solo dopo l’uccisione di Dalla Chiesa.
Eccolo qui, il ritratto completo di quel 1982. Una festa. E una strage. L’allegria della ripresa. E il lutto di una guerra di mafia che nei primi anni Ottanta, tra Sicilia, Calabria e Campania, lascerà a terra diecimila vittime. Diecimila (un racconto ben costruito sta nelle pagine de “Il raccolto rosso” di Enrico Deaglio, Il Saggiatore).
Per dirla in sintesi: c’è la Milano da bere e la Palermo per morire.
Ancora una volta il ritratto dell’Italia è molteplice, contrastato, ridente e drammatico.
Quegli anni Ottanta di novità sociali e politiche (il primo presidente del Consiglio socialista, nella storia della Repubblica: Bettino Craxi), nel dinamismo economico covano però una frattura che si ripercuoterà negli anni futuri.
Esplode infatti il debito pubblico che passa rapidamente dal 60% a oltre il 120% del Pil nell’arco del decennio: spesa pubblica per mantenere il tenore di vita diffuso e “comprare consenso”, debiti scaricati sulle spalle delle nuove generazioni.
Si rompe allora, infatti, il “patto generazionale” (ogni generazione starà meglio delle precedenti, perché padri e madri investono sul futuro dei figli). E le conseguenze, tra crisi, incertezza e fragilità della fiducia, le subiamo ancora adesso.
Ecco perché il richiamo dei titoli dei giornali di questi giorni sul paragone tra l’inflazione attuale e gli anni Ottanta suona inquietante. Ci ricorda errori politici e calcoli miopi, scarso senso di responsabilità verso il futuro e spregiudicatezza nell’amministrare la cosa pubblica.
Oggi abbiamo, è vero, limiti e vincoli maggiori, a cominciare dalle scelte della Ue e dalla necessità di convergenza dei conti pubblici. Eppure, bisogna impegnarsi a non cedere sulla spesa pubblica facile, sulla corsa al debito per soddisfare elettorati, corporazioni, clientele.
Proprio quel 1982, infatti, ha ancora insegnamenti da darci, su cui riflettere. La vittoria al Mundial fu il frutto di serietà, impegno, qualità sportiva, spirito di squadra. Quello spirito di comunità responsabile e solidale di cui abbiamo ancora un grande bisogno.
E dopo i delitti di quei primi anni 80, proprio a Palermo, forti della lezione di Dalla Chiesa e La Torre, ma anche di altri politici (Pier Santi Mattarella) e uomini delle istituzioni (Terranova, Costa, Chinnici, Basile, D’Aleo, Giuliano, Cassarà e tanti altri ancora), lo Stato è stato capace di mettere in piedi il maxi processo contro i boss di Cosa Nostra, cominciato nel 1986 e concluso, nel 1992, con severe e ben motivate condanne dei boss più potenti. Lì, lo Stato ha vinto e la mafia ha perso. Lo Stato vince, quando sa fare bene lo Stato.
E questo è un buon ricordo, da trasmettere alle nuove generazioni.