Chissà fin dove si spingerà Giuseppe Conte coi suoi giri di valzer. Sono passati pochi giorni dalla sua ultima figura da cioccolataio, quando voleva fermare l’invio di armi all’Ucraina con una risoluzione parlamentare che, alla fine, ha finito per confermare l’appoggio italiano alla campagna militare di Kiev per difendersi dall’invasione russa, rafforzando il governo e causando la scissione della componente “dimaiana” del Movimento 5 stelle. E ora rieccolo di nuovo alla carica e pronto all’ennesima batosta politica.
Non si è capito benissimo come si sia arrivati ai famosi “nove punti” proposti a Mario Draghi dal leader pentastellato, partendo dalla presunta richiesta del premier a Beppe Grillo di sollevare Conte dalla sua carica: indiscrezione trapelata mentre Draghi era impegnato al vertice Nato che ha il vago sapore del pettegolezzo deliberatamente messo in giro per fornire alla componente pentastellata l’alibi per uscire dal Governo. Sta di fatto che, a seguito della tensione tra il premier e il leader grillino, quest’ultimo sembra abbia preso la palla al balzo per ricominciare con gli ultimatum. Se l’esperienza di questo Governo deve continuare – ha detto Conte negli ultimi giorni – Draghi deve cominciare a tenere di più in considerazione le nostre richieste.
Oggetto del contendere sono anzitutto la costruzione del termovalorizzatore a Roma, le modifiche al reddito di cittadinanza e al Superbonus del 110 percento. Tutte misure inserite nel Decreto Aiuti, sul quale l’Esecutivo, per accorciare i tempi parlamentari, ha posto la fiducia. Se in un primo momento il Movimento 5 stelle sembrava sul piede di guerra, coi parlamentari sempre più propensi a lasciare il Governo e a optare per un appoggio esterno e con Conte deciso a non mandare giù anche questo boccone amaro dopo la storia degli aiuti militari a Kiev, ora tutto sembra rientrato. Anzi, sembra che non ci siano mai stati problemi.
Il Movimento ha lasciato a Draghi un mese di tempo per riflettere sulle modalità attraverso le quali andare incontro alle richieste pentastellate e nel frattempo voterà la fiducia sul Decreto Aiuti. Cosa voglia dire questo, che significato abbia, l’ha capito solo Conte probabilmente. Sembra più un déjà vu: tanto baccano, tante proteste, tante impuntature, salvo poi rientrare nei ranghi e accontentarsi di qualche pacca sulla spalla. Sia ben chiaro, non ci sono dubbi che le rivendicazioni del Movimento siano assurde e irricevibili, proprio come quelle sullo stop all’invio di armi alla resistenza ucraina. Dunque, il fatto che vengano ignorate è segno di grande buonsenso e razionalità da parte dell’attuale premier e della maggioranza di Governo. Per il resto, è lecito dubitare del fatto che – con tutto quello che c’è da fare e con le innumerevoli emergenze alle quali il Governo Draghi deve rispondere – il premier trovi il tempo di riflettere sulla risposta da dare a Conte. Ci sono momenti in cui nessuna risposta è meglio del silenzio indifferente.
Il punto è che da un leader di partito, nonché ex premier, ci si aspetterebbe quel tanto di scaltrezza che basta per evitare simili desolanti riuscite. Se c’è la consapevolezza che probabilmente non si otterrà niente e non si vuole uscire dalla maggioranza, allora si eviti di fare tanto chiasso e si cerchi di trovare una coerenza tra quello che si fa al Governo e la linea del partito che si guida. Conte non uscirà dalla maggioranza, i suoi sono solo tentativi per smarcarsi dalla linea dell’Esecutivo, per differenziarsi, per mettersi un po’ in mostra, dei bluff per cercare di strappare qualche concessione da esibire come trofeo alle prossime elezioni.
Sembra quasi che questo continuo angosciare il premier con certe ridicolaggini faccia parte di una strategia stile “botte piena e moglie ubriaca”. Conte vuole restare al Governo per tutta una serie di ragioni: buona parte degli attuali parlamentari che non verrebbe rieletta causa ridimensionamento dei numeri delle Camere, il limite del doppio mandato per i pentastellati, la minaccia da parte del Partito democratico di escluderli dal “campo largo” nel caso di un simile sgarro, che vorrebbe dire andare da soli alle elezioni e rassegnarsi definitivamente all’estinzione. Ma al tempo stesso, alle prese con il crollo nei sondaggi e con l’emorragia di consensi, vuole cercare di recuperare qualche voto tentando la via meno assennata, che è quella del “ritorno alle origini”, al “vaffa” urlato dalle piazze, al grillismo duro, puro e movimentista degli esordi. Nel fare questo, nel carcare di essere un modesto e indoppiopettato imitatore di Alessandro Di Battista, Conte risulta essere ancora più patetico e, quindi, destinato a peggiorare la crisi di consenso nella quale versa il Movimento.
Forse, l’attuale leader pentastellato avrebbe dovuto dare ascolto a Luigi Di Maio e approfittare dell’esperienza di governo di questi anni per uscire dal loop del populismo inconcludente e dalle logiche dell’avventurismo politico, per attribuire al Movimento una nuova veste istituzionale e responsabile. Invece, come tutti i leader di cartone, Conte si è preoccupato di riconquistare il consenso a suon di slogan e iniziative ridicole, quando il consenso avrebbe dovuto crearlo, quando avrebbe dovuto cercare di spiegare ai suoi elettori perché era necessaria l’evoluzione dal movimentismo antisistema delle origini verso un approccio più improntato alla serietà, alla concretezza e alla responsabilità istituzionale.
Di sicuro, qualunque elettorato preferisce fidarsi di un capo che guida le danze e che è abbastanza deciso da saper “imporre” la sua linea ai vertici e alla base del partito che dirige, che non di uno che sbraita, minaccia, tuona e lancia ultimatum, ma poi rientra puntualmente nei ranghi quando le sue istanze non trovano sponda: un po’ come quei monelli che fanno chiasso durante le lezioni ma che tacciono non appena la maestra lancia loro un’occhiata severa. E di bambini al Governo ne abbiamo avuti fin troppi per volerne ancora. Fortuna che la ricreazione è finita. Un piccolo suggerimento per Conte: Grillo è un comico diventato politico, mentre lui è un avvocato diventato politico e ridottosi a dover fare il comico per continuare a essere un politico. A questo punto, forse sarebbe meglio tentare la strada della trasmissione televisiva: il Giuseppi Conte Show. Di sicuro avrebbe più successo, sarebbe meno molesto e farebbe molti meno danni al Paese.