A poco piu di due anni dall’inizio della crisi innescata dalla pandemia l'Istat ha tracciato un bilancio delle conseguenze di questo shock improvviso e imprevisto sul tessuto sociale e produttivo del nostro Paese. Con 16 milioni di contagi e oltre 160mila decessi associati all’infezione da SARS-CoV-2 tra marzo 2020 e aprile 2022, l’Italia è stata, insieme alla Spagna, fra i paesi Ue maggiormente colpiti dalla pandemia, soprattutto nella prima fase, con un netto miglioramento nel 2021 in concomitanza dell’avvio della campagna vaccinale.
La pandemia ha avuto un impatto rilevante su tutte le componenti della dinamica demografica: l’elevato eccesso di mortalità registrato nel 2020 è stato accompagnato dal quasi dimezzamento dei matrimoni e dalla forte contrazione dei movimenti migratori a cui si sono aggiunti, nel 2021, gli effetti recessivi dovuti al calo delle nascite. L’emergenza sanitaria ha modificato le abitudini di vita della popolazione, con un impatto rilevante sui vari aspetti della quotidianità.
Nel 2021 sono emersi chiari segnali di un ritorno alla quotidianità pre-Covid, anche se alcuni cambiamenti negli stili di vita sembrano persistere e potrebbero essere destinati a durare nel tempo. Riflessi importanti si sono osservati anche sul mercato del lavoro, con l’esacerbarsi delle diseguaglianze a sfavore di segmenti della popolazione già in condizioni di vulnerabilità alla vigilia della pandemia. L’Italia si posiziona fra i paesi Ue dove è stata più marcata la riduzione degli occupati tra il 2019 e il 2020. Come conseguenza si è ulteriormente aggravato il divario rispetto alla media Ue27 per tutti i principali indicatori del mercato del lavoro.
L’impatto della crisi sul tessuto produttivo italiano è stato profondo e diffuso ma circoscritto nel tempo. A livello aggregato l’attività economica è tornata sui livelli di fine 2019, però non è stato così per tutti. D’altra parte questa crisi, più che in passato, ha spinto numerose imprese a sperimentare cambiamenti organizzativi e tecnologici importanti che hanno permesso di mitigare gli effetti della crisi e ne rappresentano un’eredità favorevole. La pandemia ha avuto un impatto rilevante su tutte le componenti della dinamica demografica.
La perdita di popolazione ascrivibile alla dinamica demografica negativa è stata pari a 658mila residenti tra il 1° gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021, mentre il deficit è risultato doppio rispetto a quello riscontrato nel biennio 2018-2019 (-296mila). Nel 2020 si è registrata una drastica contrazione dei matrimoni per effetto delle misure di contenimento della diffusione dell’epidemia. In base ai dati provvisori, nel 2021 il numero di matrimoni è raddoppiato e la crescita prosegue nel trimestre gennaio-marzo 2022, ma non è ancora sufficiente a recuperare i livelli del 2019.
Il calo della nuzialità non ancora recuperato e la diminuzione di coppie giovani al primo matrimonio hanno ristretto il numero di potenziali genitori, con evidenti ripercussioni sulle nascite a partire dagli ultimi due mesi del 2020 (relativi ai concepimenti di marzo-aprile 2020). Il crollo delle nascite si è protratto nei primi sette mesi del 2021 per poi rallentare verso la fine dell’anno. Secondo i dati provvisori per il primo trimestre 2022, a marzo il calo raggiunge il suo massimo (-11,9% rispetto allo stesso mese del 2021).
Nel 2021 la crescita economica ha consentito una riduzione del debito della Pubblica amministrazione al 150,8% del Pil (-4,5 punti percentuali), più ampia di quanto previsto dai documenti programmatici. Tuttavia "rimangono margini di incertezza sull'evoluzione futura del quadro di finanza pubblica, principalmente per le ripercussioni degli scenari bellici sull'economia e per il rialzo dei tassi di interesse sulle nuove emissioni di titoli". Il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato dal 2005 al 2021, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale), mentre le famiglie sono raddoppiate da 800 mila a 1,96 milioni (il 7,5%).
La povertà assoluta è tre volte più frequente tra i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e una dinamica particolarmente negativa caratterizza anche i giovani tra i 18 e i 34 anni (l'incidenza ha raggiunto l'11,1%, valore di quasi quattro volte superiore a quello del 2005, il 3,1%).