di Mauro Suttora
'Il Ponte sulla Drina' di Ivo Andric racconta vicende che si dipanano per quattro secoli. Quello sul fiume Kwai ha di esacerbante soltanto la durata del film, quasi tre ore, il che non gli impedì di vincere sette Oscar. Il ponte di Messina è in ballo da oltre mezzo secolo, ma ieri è arrivato un colpo di scena: la candidata grillina alla regione Sicilia, Barbara Floridia, ha detto sì. E poiché anche quella del Pd ha detto forse, e tutto il centrodestra è da sempre favorevole alla costruzione, l'unico contrario è rimasto Claudio Fava dell'estrema sinistra.
Quindi il ponte sullo Stretto si farà, visto il consenso politico al 90 per cento? Ma figurarsi. Non sarà certo il voto regionale di ottobre a deciderne la sorte. Perché da quelle parti la storia si misura non in secoli, ma in millenni. Scilla e Cariddi se la ridono, osservando gli inani conati di noi piccoli umani: negli ultimi decenni abbiamo buttato centinaia di milioni in progetti, società apposite, consigli d'amministrazione e consulenze. Unico risultato: il nulla. Soldi inghiottiti nel cratere dell'Etna, scomparsi nei boschi dell'Aspromonte. Ricordo una fastosa e festosa spedizione all'hotel Plaza di New York vent'anni fa: una nutrita delegazione di qualche ente parastatale venne in gita in America con la scusa di presentare il progetto definitivo ai giornalisti Usa e a noi corrispondenti italiani: "Fra pochi mesi parte il project financing". Scommisi sorridendo con il capufficio stampa dell'ente che, nonostante il suo ottimismo da governo berlusconiano, ci saremmo rivisti vent'anni dopo senza Ponte. Ero diventato scettico e saggio come un siciliano. Adesso ho vinto, ma ho perso perfino la voglia di riscuotere. Mi hanno preso per stanchezza, se non sanno come buttare i miliardi del Pnrr possono riprovarci.
Tutti noi siamo stati pro e contro il Ponte, in questi decenni. Abbiamo anche cambiato idea, quindi non daremo addosso alla povera grillina che ha effettuato l'ultima inversione a U dopo Tav, Tap, Triv, Pd, Nato, Draghi, euro, la suocera.
Quand'ero piccolo rimanevo affascinato dai disegni colorati del Ponte su Epoca e la Domenica del Corriere. Negli anni 70 arrivarono i dubbi: zona sismica, zona mafiosa, correnti troppo forti, i costi, i disoccupati dei traghetti Caronte, attentati terroristici, il panorama rovinato. Confesso che mi impressionò in particolare l'avvertimento di un ingegnere: troppi cadaveri cementati nei piloni ne minerebbero la stabilità. Ciononostante, ogni premier con un minimo di manie di grandezza (cioè tutti tranne Monti) ha sempre detto sì al Ponte, da Craxi a Renzi. Nel 2000, il colpo gobbo: inaugurano il ponte Danimarca-Svezia. Costruito in cinque anni, lungo il doppio del nostro e costato la metà: due miliardi e mezzo. Con i soldi dei pedaggi, 45 euro, finirà di pagarsi nel 2030. Una spinta irresistibile per il Ponte sullo Stretto? Macché. I soliti ragionierucoli avvertono che i siciliani sono solo cinque milioni, un quarto dei norvegesi e svedesi serviti dal loro ponte. Troppo pochi. Quindi hai voglia a ripagarsi, anche calcolando i turisti.
Il vero problema è che dobbiamo smettere di calcolare. L'unico modo di costruire il Ponte di Messina è riservare ai contrari la stessa fine che i turchi infliggevano ai serbi che si opponevano a quello sulla Drina nel '500: l'impalamento. E i grillini che non approveranno l'ennesima giravolta dei loro capi saranno condannati ad attraversare lo Stretto come Grillo dieci anni fa: nuotando. Ah, come dicono oggi, bisogna anche cambiare la narrazione. Ribrandizzare. Quindi eliminare la parola Stretto: misera, negativa. Meglio Ponte dell'Infinito.