di Claudio Madricardo
L’11 luglio dello scorso anno migliaia di cubani scendevano in piazza al grido di "libertà" e "abbasso la dittatura", chiedendo riforme sociali ed economiche, in quella che è diventata la più grande manifestazione contro il governo dalla vittoria della rivoluzione.
Tutto ciò accadeva in uno dei momenti peggiori per il paese, colpito dalla pandemia, con gli ospedali al collasso e in una situazione di penuria di alimenti, medicinali e di tutti i prodotti di prima necessità, e con la risorsa economica più importante per l’isola, il turismo, paralizzata.
Se le manifestazioni sono state di breve durata, i tribunali cubani hanno condannato centinaia di persone al carcere con accuse che vanno dal disordine pubblico alla sedizione, mentre gli attivisti sono stati costretti a denunciare le violazioni dei diritti. Altri dissidenti sono fuggiti dall'isola alimentando un esodo che secondo i funzionari statunitensi quest'anno dovrebbe far arrivare negli USA circa 150.000 persone. Lo scontento ha lasciato in gran misura il paese.
Due giorni fa, sull’organo ufficiale Granma, il capo dello Stato Díaz-Canel ha ricordato che ciò che si festeggia l’11 luglio è lo "smantellamento di un colpo di stato vandalico". E dopo la repressione della rivolta, il governo ha operato sistematicamente per rafforzare il proprio controllo politico.
Già nell’agosto dello scorso anno Cuba ha approvato un primo regolamento sulla sicurezza informatica in cui sono caratterizzati 17 crimini, tra cui "sovversione sociale", "alterazione dell'ordine pubblico" e diffusione di notizie false su Internet, nonché il cyberterrorismo. Da parte di molti osservatori, il provvedimento è stato letto come la volontà di introdurre una legge bavaglio per impedire le critiche.
Le manifestazioni dello scorso luglio hanno lasciato un'eredità pesante con 725 persone detenute, mentre lo scorso 24 giugno il tribunale ha condannato Luis Manuel Otero Alcántara, Maikel Castillo Pérez e altri dai nove anni in giù per reati di oltraggio ai simboli del paese, disprezzo, diffamazione di istituzioni e organizzazioni e di eroi e martiri, attacco, resistenza e pubblico disturbo. Una condanna che ha colpito artisti inermi.
Luis Manuel Otero Alcántara e Maikel Castillo Pérez sono afrocubani, ovvero appartengono a quella parte della popolazione che ancora a distanza di più di sessant’anni dalla rivoluzione vive maggiormente l’emarginazione economica e sociale. Otero è scultore e performer, animatore del Movimiento San Isidro, creato da artisti, giornalisti ed accademici, nato nel 2018 in seguito ad un decreto del governo che intendeva regolare le attività artistiche e culturali nel Paese.
Maikel Castillo è un rapper ed è uno degli interpreti assieme ad altri artisti cubani espatriati della canzone Patria y vida, che è una risposta al ¡Patria o Muerte! ¡Venceremos! pronunciato da Fidel Castro nel marzo del 1960, che è diventato lo slogan di tutta la storia rivoluzionaria cubana. La strofa “Il mio popolo vuole libertà, non più dottrine. Già non gridiamo più patria o morte ma patria e vita” segna il rovesciamento di prospettiva e l’allontanamento delle giovani generazioni dagli ideali della rivoluzione.
Patria y vida spopola su Youtube con quasi undici milioni e mezzo di visualizzazioni ed è diventato l’inno libertario di chi non sopporta più la verità del regime. Nel 2021 gli è stato assegnato il Grammy Latino come canzone dell’anno, ed è stata la colonna sonora dei manifestanti dello scorso mese di luglio. Venerdì scorso i due hanno fatto sapere che non faranno appello alle loro condanne perché non si presteranno di più a quel circo che li ha processati.
Se le proteste sono state represse, non per questo sono cessate le interminabili code per i generi alimentari, per il carburante, per i medicinali e i trasporti pubblici. E non sono nemmeno cessati i frequenti blackout della corrente elettrica. Il blocco economico strozza l’economia cubana da sessanta anni. Secondo il rapporto stilato dall’Avana per l'ONU, è costato in totale 148.000 milioni di dollari da quando è entrato in vigore. Se da una parte le sanzioni hanno acuito le difficoltà economiche, Cuba continua ad essere molto dipendente da altri paesi. L'80% del suo cibo proviene dall'estero e molto dagli Stati Uniti.
Il blocco economico non spiega pienamente la situazione di Cuba, perché essa è fortemente influenzata dalle politiche interne del paese. L'isola manca di produzione locale, in particolare di produzione agricola. Mentre la situazione economica crea insoddisfazione e la frattura tra la popolazione anziana e le nuove generazioni, alle quali le conquiste della rivoluzione non bastano più, si acuisce, il governo sceglie una difesa che rischia di sembrare auto conservazione.
Con l’ondata repressiva e con l’incapacità ora dimostrata di rinnovarsi e di dare risposte alle nuove necessità emergenti a livello sociale, ivi comprese quelle relative alla libertà artistica e alla democrazia, l’isola che ha a lungo incarnato il mito dinamico e libertario di una rivoluzione fatta da trentenni, chiusa in una sorta di sorda senescenza, è destinata a una lenta e inesorabile fine.