Gente d'Italia

M5s in Senato a rischio scissione-bis: con o senza crisi

Dritti verso la fiducia o compatti verso l'uscita dall'Aula? Né l'una, né l'altra cosa. Quando mancano circa 48 ore alla fiducia al dl Aiuti in Senato, i 5 stelle ancora non hanno spiegato con chiarezza che strada prenderanno. "Dipende molto da segnale che manderà Draghi", vanno ripetendo i pentastellati nei corridoi dei Palazzi. Per il 13 luglio, è in programma un'assemblea di tutti i senatori e la decisione potrebbe essere comunicata in quella sede. Quel che in queste ore appare certo, però, è che comunque vada il gruppo non sarà compatto. Se si opterà per il sì alla fiducia - al Senato non è possibile scorporare la fiducia dal voto sul provvedimento, come è invece stato fatto alla Camera - ci sarà un gruppo di senatori che non la voterà. Rumors, non smentiti dai diretti interessati, stimano in dieci (su 62) i barricaderos pronti a non votare per la fiducia indipendentemente dalla decisione in assemblea. Di contro, c'è un gruppo, uguale e contrario, di senatori 5 stelle pronti a votare sì alla fiducia anche se il gruppo deciderà per il no. A quel punto sarebbero pronti anche a lasciare il Movimento. Migrando, è l'ipotesi più accreditata, nel gruppo di Luigi Di Maio. 

Ma chi sono i barricaderos pronti al "no" a tutti i costi? Quasi tutti i diretti interessati hanno le bocche cucite e, nella maggior parte dei casi, i social silenziati, ma la loro posizione è chiara e difficilmente sarà scalfita da avvenimenti futuri. In testa al gruppo c'è Alberto Airola, senatore torinese che più volte negli ultimi giorni si è espresso contro il dl Aiuti: "Per me è invotabile", ha detto. Sul segnale che, dopo l'incontro con i sindacati, i 5 stelle si aspettano dal premier ha dichiarato: "Da Draghi immagino il nulla". Segue Gianluca Ferrara che, in un'intervista a Repubblica, chiedeva a Conte di portarli fuori dal governo. Nella schiera degli oltranzisti anche Danilo Toninelli, che negli ultimi tempi è sparito dai radar. Al gruppo dei duri e puri si legano anche Andrea Cioffi e Laura Bottici. Quest'ultima, solo pochi giorni fa, avvertiva: "Mi è piaciuto molto il cambio di passo e la fermezza del nostro presidente Giuseppe Conte nel confronto con il premier". Tra i più radicali anche Gianluca Castaldi, che solo pochi giorni fa invitava il Movimento a "cogliere l'attimo", Mauro Coltorti e Gabriele Lanzi. Quest'ultimo ha tenuto a sottolineare che "il Movimento 5 stelle ha giurato fedeltà alla Repubblica e ai cittadini, non a Draghi". Messaggi poco equivoci sono stati mandati anche da Ettore Licheri, che solo pochi giorni fa su Twitter scriveva: "Curioso: chi ci accusava di essere attaccati alle poltrone di parlamentari, oggi che quelle poltrone le mettiamo in discussione rinunciando alla pensione di legislatura , ci accusa al contrario di essere irresponsabili. Forse perché ora le poltrone in gioco sono anche le loro?". Sarebbe molto favorevole allo strappo anche Paola Taverna ma, se si dovesse optare per il sì alla fiducia, è difficile ipotizzare che si distacchi dalla linea del Movimento, perché è una dei vicepresidenti.  Al gruppo di oltranzisti si oppone chi ha una linea più morbida ed è pronto a votare sì alla fiducia, anche a costo di lasciare la casa dei pentastellati e ricongiungersi ai dimaiani: "Non mi sorprenderebbe se 7,8 colleghi, ma forse anche di più, trovandosi giovedì in una situazione estrema, potessero sentirsi in difficoltà, decidere di votare la fiducia e poi passare al nostro gruppo. Noi saremmo felici di accoglierli", ci dice un senatore di Insieme per il futuro. Sui nomi dei potenziali nuovi adepti, però - un po' per senso di protezione, un po' perché è troppa la confusione - c'è ancora il massimo riserbo.

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