Sabato scorso parlavamo del costituzionalista Leopoldo Elia e del suo “originalismo costituzionale”, che tende a interpretare la Costituzione attraverso gli intenti dei padri fondatori, in contrasto con il modello USA, ispirato dal Giudice Scalia, scomparso nel 2016, che considerava l’originalismo una pedissequa reimposizione delle convinzioni datate 1787, anno in cui fu approvata la Costituzione americana. Da quando scrivevamo a oggi, però, in Italia si è attuato un ignobile strappo alla tenuta del Governo guidato da Mario Draghi e questo ci costringe a ben altre considerazioni sulla democrazia parlamentare, sancita dalla nostra Costituzione. Nel suo libro: “Storia dei partiti politici europei dal 1649 a oggi” (prima edizione Rizzoli, 1990), il politologo Giorgio Galli stabilisce che: “…il sistema dei partiti nella democrazia rappresentativa serve a selezionare una classe dirigente che permette un ricambio controllato. Oggi al governo, domani all’opposizione…”. I padri fondatori italiani, reduci dal ventennio di dittatura fascista, scelsero il modello della Repubblica parlamentare, definita dal voto dei cittadini, garantita dal ricambio nei partiti. L’Art. 49 della nostra Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Gli iscritti ai partiti conferiscono un mandato ai propri dirigenti in congressi che si ripetono a distanza di qualche anno e – se vogliono – confermano gli stessi oppure designano altri capi. Dato che non tutto il popolo può governare, non esiste democrazia diretta, perciò questo meccanismo, che è l’unico possibile, porta alla creazione di vere e proprie oligarchie. I vertici dei partiti si specializzano e ambiscono a perpetuare se stessi. Se defenestrati, dopo essere rimasti troppo tempo al comando, oppure se temono di esserlo, i grandi capi seguiti dal gruppo dei loro sostenitori più stretti lasciano il partito, movimento, forza, lega, fratellanza, e danno vita a un nuovo partito, movimento, forza, lega, fratellanza. Al trasformismo interno ai partiti si aggiunge quello parlamentare del singolo eletto che – avendo sentore che non sarà ricandidato – emigra verso il gruppo misto della Camera o del Senato in attesa di trovare un nuovo padre-padrone che gli assicuri uno scranno. Ultimamente abbiamo visto numerosi esempi del primo e del secondo itinerario di svariati Cicero pro domo sua. Ma la forma più pericolosa e distruttiva di trasformismo è quella della pendolarità fra lo status di membro del Governo, sostegno esterno al Governo, uscita dal Governo, perché si è certi che il proprio partito, movimento, forza, lega, fratellanza perderà alle prossime elezioni la maggior parte dei consensi che gli hanno permesso di esprimere il Presidente del Consiglio dei Ministri oppure di avere almeno un posto al tavolo dell’ultimo premier, individuato in Mario Draghi, versione salvifica dell’Italia, dall’intelligenza politica del Presidente della Repubblica. Ricordiamocelo: Sergio Mattarella è stato confermato al secondo mandato il 29 gennaio di quest’anno con 759 voti (il secondo capo dello Stato più votato nella storia) al termine di uno squallido teatrino dei pupi che si è trascinato per cinque giorni e sette votazioni, bruciando molti nomi illustri. La rielezione di Mattarella all’ottavo scrutinio è stata osannata dall’Europa che gli riconosceva, fra l’altro, proprio la scelta di Mario Draghi come presidente del Consiglio dei Ministri del sessantaseiesimo Governo italiano, in carica dal 13 febbraio 2021 come terzo Governo della XVIII legislatura. Lo strappo voluto da Giuseppe Conte, ora Presidente di quel che è rimasto del M5S, ha fatto finalmente reagire Draghi, esasperato dallo stillicidio delle piccole imposizioni clientelistico-populistiche di facciata targate 5stelle. Non può essere partito di Governo chi, in un momento in cui le quattro catastrofi mondiali del Covid che rialza la testa, la crisi energetica, lo sfacelo ambientale e la guerra in Ucraina chiedono interventi di persone capaci e non le bizze sul termovalorizzatore a Roma o sul reddito di cittadinanza che ha creato uno tsunami di lavoro nero. Chi è Giuseppe Conte, detto “giuseppi!” da Donald Trump? Un avvocato cinquantottenne di Volturara Appula, un Comune con 416 abitanti in Provincia di Foggia, il quale riceve da Mattarella l’incarico a formare un governo il 23 maggio 2018, rimette l’incarico perché il Presidente della Repubblica respinge la nomina di Paolo Savona a Ministro dell’Economia, poi riaccetta l’incarico il 31 maggio e diventa il 1 giugno 2018 Presidente del Consiglio di un Governo 5stelle – Lega di linea sovranista e euroscettica. Rassegna le dimissioni il 20 agosto 2019, complice Salvini che dal Papeete dichiara di voler andare a elezioni anticipate, poi accetta un nuovo incarico il 29 agosto e diventa capo di un Governo dei 5stelle stavolta con PD e LEU, che presta giuramento il 5 settembre 2019 e muore il 2 gennaio 2021. Il 13 febbraio 2021 nasce il Governo di presunta unità nazionale guidato da Mario Draghi. Il 6 agosto 2021 Conte diventa presidente del Movimento 5 stelle e deve difendere quest’ultima carica con montagne di carte bollate. Alle amministrative del giugno scorso i 5 Stelle finiscono ai minimi storici. Questa la cronologia di quella che Bertolt Brecht avrebbe intitolato “La resistibile ascesa di Arturo UI”, un immaginario personaggio della Chicago degli anni ’30 che voleva controllare il racket dei cavolfiori e eliminava senza pietà gli oppositori. L’astensione dei pentastellati di marca Conte in occasione della fiducia al Senato sul Decreto aiuti è la goccia che fa traboccare il calice della pazienza di Draghi, che sbatte la porta. Ma Mattarella lo rinvia alle Camere. Vedremo cosa succederà nella convulsa 5 giorni che ci attende. Un commento finale: in questo momento in cui l’Europa ha ritrovato piena fiducia nell’Italia per merito della presenza e del calibro di Draghi, “giuseppi” insieme all’altalena Salvini/papeete barattano il bene dell’Italia per un salto nel vuoto e la speranza della riconquista di qualche punto percentuale? Dov’è finito il senso dello Stato? Dov’è finito il significato del giuramento alla Repubblica e alla Costituzione, che devono fare tutti gli eletti al Parlamento e al Governo? Perché dobbiamo tornare a una libera Repubblica delle bananine? Perché gli elettori si astengono in massa e non si rendono conto che soltanto loro possono dare indicazioni precise con le loro scelte? Perché l’Italia deve rischiare una brutta copia di Marie Le Pen come prima donna Presidente di un governo che non durerebbe più di 6 mesi? Perché le idiozie che circolano su internet sono diventate la verità e la gente comincia a fidarsi della democrazia virtuale? Perché un ex comico diventato ventriloquo, assetato di potere e soldi, è riuscito a far nominare Presidente del Consiglio il proprio burattino, invasato di notorietà? Dobbiamo scoprirlo. Come i bambini, dobbiamo porre tutte le domande che agli adulti sembrano inutili e ovvie e invece decidono il futuro delle nostre vite.
(Carlo Cattaneo)