di Gabriele Minotti
In seguito all'ennesima penosa e desolante giostrina alla quale ci hanno costretto quella manica di scappati di casa che sono i pentastellati, il premier Mario Draghi – come aveva annunciato nei giorni scorsi – è salito al Colleper rassegnare le dimissioni. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le ha però respinte, scegliendo di parlamentarizzare la crisi di Governo. La vera resa dei conti tra Draghi e i grillini ci sarà mercoledì, in occasione della verifica di maggioranza.
Nel frattempo, mentre il caos regna sovrano e il Paese è appeso ai capricci e alle insulsaggini di una banda di inetti guidati da una specie di Brancaleone da Norcia, da un azzeccagarbugli del popolo che ha fatto il danno e che ora non ha la più pallida idea di come rimediare, la situazione rischia seriamente di precipitare. Mentre Giuseppe Conte si diverte a lusingare il suo ego, pensando di aver ritrovato una immeritata centralità nello scenario politico, l'Italia corre il pericolo di colare a picco. Solo ieri sono stati bruciati ben trentuno miliardi di capitalizzazione, con la Borsa di Milano che ha chiuso al ribasso di oltre il tre per cento: denaro degli investitori, di coloro che hanno scommesso sull'Italia e sulle sue capacità. Lo spread è tornato a impennarsi, con tutto ciò che questo implica in termini di tassi di interesse sui prestiti e sui mutui, nonché sull'accesso ai crediti e alla rateizzazione. Le cancellerie straniere sono giustamente spiazzate e non capiscono cosa stia succedendo. E questo potrebbe essere solo l'inizio.
Se per disgrazia l'esperienza del Governo Draghi dovesse concludersi mercoledì prossimo, per questo Paese potrebbe significare lo sfacelo, la rovina più totale. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rischia di non essere mai attuato: mancando più di cinquanta punti per il completamento del programma di riforme – che era previsto dovessero essere realizzate nei restanti mesi di legislatura – l'Italia potrebbe non vedere mai quei soldi e perdere questa straordinaria occasione per la ripartenza. Addio al calmieramento dell'inflazione – con la conseguente perdita costante di potere d'acquisto – e misure per contenere il picco dei prezzi dell'energia, poiché del tetto europeo al prezzo del gas, che solo la credibilità di Draghi avrebbe potuto farci ottenere, non se ne farà più niente, così come della diversificazione energetica per emanciparci dalla dipendenza dal gas russo. Niente più aiuti a famiglie e imprese che, se verranno dati, saranno verosimilmente a debito: che significa dare oggi per riprendere il doppio domani dagli stessi che hanno ricevuto. Niente più campagne di vaccinazione anti-Covid efficienti e misure di prevenzione che non facciano a pezzi l'economia e la socialità.
Niente più protagonismo dell'Italia in Europa e in Occidente, poiché il Paese tornerà verosimilmente a essere la "Cenerentola" irrilevante di una volta, con un'economia malandata e di cui non ci si può fidare data l'instabilità del sistema politico. Niente più allineamento con gli alleati della Nato, poiché senza il fermo e severo atlantismo di Draghi è dubbio che l'Italia possa avere la costanza di continuare a sostenere lo sforzo bellico ucraino e la strategia di contenimento del blocco russo-cinese, al punto che a Mosca pare si stia festeggiando per le dimissioni (poi respinte) del premier più atlantista d'Europa, nonché di uno dei più decisi difensori della resistenza di Kiev. No, non si tratta di santificare questo Governo, ma di riconoscere la preparazione e la serietà con la quale si sta muovendo in una difficilissima situazione interna e internazionale.
Anche in Italia ci sarà più di qualcuno che gioirà per la crisi di Governo e che freme all'idea di tornare alle urne. Tuttavia, c'è ben poco da stare allegri: questo Paese, senza Draghi a tenere la barra dritta, a garantire stabilità e a spendere la sua immagine e il suo prestigio internazionale, è destinato a fare una fine assai ingloriosa. A essere maggiormente colpiti non saranno i ricchi, ma la classe media, che si ritroverà a dover fare i conti con un'inflazione fuori controllo, con rincari delle bollette senza precedenti, con un ulteriore picco della disoccupazione generata dall'incertezza finanziaria che dissuaderà gli investitori dall'idea di puntare sull'Italia (e si parla anche di piccole aziende, non necessariamente di multinazionali, dato che proprio le prime, data la minor disponibilità e il maggior rischio, sono quelle che più risentono dell'instabilità) e con una nuova fase di sostanziale isolamento internazionale che ci esporrebbe al pericolo di fare amicizia con la parte sbagliata di mondo. Chi deve intendere intenda.
Tutto questo per che cosa? Per il cretinismo politico-istituzionale di un gruppo di incompetenti e di un leader che ha pensato valesse la pena sacrificare il bene e la stabilità del Paese ai calcoli elettorali. Sì, perché l'unica spiegazione plausibile al comportamento di Giuseppe Conte è la volontà di recuperare qualche voto perso per strada rompendo col Governo, andando all'opposizione, ritornando al movimentismo delle origini e cercando di rifarsi una "verginità" antisistema dopo aver fatto parte ed essersi pienamente integrati in quello stesso sistema che volevano scardinare: e nella maniera peggiore, bisogna aggiungere, vale a dire governando con chiunque pur di stare sempre alla ribalta e di occupare sempre qualche seggiola. C'è anche chi, come il direttore Augusto Minzolini, ha intravisto la "manina russa" dietro le scelte di Conte: ipotesi plausibile, se consideriamo i rapporti storicamente buoni tra il Cremlino e i pentastellati, oltre al fatto che la caduta del Governo Draghi è uno dei migliori favori che si possano fare a Mosca in questo momento, poiché questo priverebbe l'Italia del suo unico vero difensore rispetto alla minaccia russa, nonché del principale garante dell'allineamento dell'Italia al resto dei Paesi occidentali.
L'aspetto più ridicolo dell'intera vicenda è che, comunque si risolverà la questione, sia che il Governo Draghi cada, sia che rimanga in carica, Conte è destinato a uscire di scena a breve. L'avvocato del popolo non si è accorto di essere il "sacrificio rituale" che Beppe Grillo ha offerto all'unica persona in grado di "operare il prodigio", cioè di tirare il Movimento fuori dalle secche e di riportarlo a delle percentuali che gli permettano di non scomparire dalla scena politica: Alessandro Di Battista. Grillo ha mandato Conte nella fossa dei leoni, lo ha costretto a fare la parte del giocoliere, ad auto-screditarsi dentro e fuori il Movimento, a fare il gioco sporco contro Draghi, a riportare il Movimento a quel puritanesimo antisistema e sostanzialmente guevarista che sembrava aver superato, per poi disfarsi di lui e far rientrare sulla scena Di Battista, che certo ha molto più carisma di Conte e maggiore doti da agitatore, da Masaniello, in perfetto stile pentastellato.
Se mercoledì il Movimento Cinque Stelle voterà la fiducia a Draghi, Conte farà l'ennesima figura di m...a, di quello che fa tanto rumore per nulla, che alla fine si arrende sempre, oltre che del poltronaro che farebbe qualunque cosa e accetterebbe qualsiasi compromesso pur di non andare alle urne. Se, invece, non lo farà e si andrà alle elezioni, allora Grillo se ne libererà, dandogli a intendere che le percentuali basse del Movimento esigono che lui si faccia da parte, non essendo più una figura spendibile dopo le sue esperienze da premier, riportando in auge Alessandro "Che" Di Battista, grillino duro e puro tutto decrescita (in)felice, pacifismo filo-putiniano e redistribuzione della ricchezza. A maggior ragione che la rottura con Draghi si tradurrebbe, verosimilmente, anche nella spaccatura con il Partito Democratico, il che aprirebbe una nuova stagione di isolamento politico per la creatura di Grillo e Casaleggio. Insomma, che a Conte piaccia o no, qualunque cosa faccia il suo destino è segnato. Ma va bene così: è quello che meritano gli irresponsabili e gli sprovveduti.
Non resta che sperare nella buona volontà di Draghi, che comunque può andare avanti – magari con un patto di maggioranza in pochi semplici punti – anche senza l'appoggio dei pentastellati, godendo ancora di un'ampia maggioranza parlamentare. Andare a votare in questo momento è una pessima idea. Non si tratta di scarso sentimento democratico, né di paura di quello che potrebbe venire fuori dalle urne. Semplicemente, nessuno dei leader attualmente sulla piazza ha la capacità di gestire questioni complesse come quelle con le quali abbiamo solo iniziato a misurarci e che si faranno sempre più complesse nei prossimi mesi. Chiunque vincesse, non si potrà far altro che assistere, nel giro di brevissimo tempo, all'ennesima crisi di Governo e all'ennesimo ricorso a tecnici e governi d'unità nazionale, che però nessuno ci garantisce avranno la stessa capacità, lo stesso profilo istituzionale, la stessa autorevolezza e la stessa serietà di Mario Draghi. Nel frattempo, l'Italia avrà subito degli enormi danni economico-sociali e d'immagine internazionale. Si dice sempre che questo Paese dovrebbe apprezzare di più quello che di buono possiede: l'italiano più illustre, più rispettato e più conosciuto al mondodovrebbe essere tra queste.