di Crtistofaro Sola
Mario Draghi ha gettato la spugna. Nel farlo deve aver provato un gran sollievo. Per la piega che hanno preso gli eventi, per lui restare al Governo avrebbe significato mandare in pappa una reputazione costruita nei decenni. Possiamo solo immaginare la profonda gratitudine che il premier dimissionario debba aver provato nei confronti di Giuseppe Conte. Per un attimo lo ha amato intensamente, dopo i mesi trascorsi a disistimarlo altrettanto intensamente. A Draghi, il capo dei cinque stelle deve aver evocato l'immagine eroica dei giovani aviatori giapponesi che, alla fine della Seconda guerra mondiale, si immolavano con i loro apparecchi per colpire obiettivi nemici. Già, perché i "contiani" ieri l'altro in Parlamento si sono comportati da Kamikaze lanciandosi a corpo morto, con intento suicida, contro il Governo di cui fanno parte.
Tutto per salvare qualcosa che non esiste più, e forse non è mai esistita: la credibilità presso l'elettorato. Non si sono resi conto, poveri illusi, che fuggendo dal voto di fiducia al Governo sul Decreto "Aiuti" stavano offrendo una comoda via d'uscita a un premier che non vuole più guidare il suo Paese. E non perché non sia compreso dalla maggioranza che lo sostiene. Probabilmente, si è reso conto che il suo osannato prestigio internazionale non ha reso alcun vantaggio all'Italia. Se così fosse, saremmo d'accordo con lui. È giusto che vada via perché ha fatto più male che bene al nostro Paese. I dati economici e sociali non si limitano a confermarlo, fanno di più: ci sbattono in faccia il suo flop. L'Italia è in crisi nera. Negli scorsi giorni è passata sotto silenzio una notizia che in altre stagioni della politica avrebbe provocato un terremoto. Dagli ambienti di Governo è stata avviata una campagna d'informazione per limitare l'uso dell'energia elettrica e del gas.
In pratica, siamo al razionamento delle fonti energetiche. Capite cosa voglia dire un provvedimento di tale portata? Non l'inconveniente di non poter mandare a palla l'aria condizionata, ma il ben più devastante rallentamento delle attività produttive a cui, a cascata, segue la messa in Cassa integrazione di centinaia di migliaia di lavoratori. L'Istat ha certificato il sostanziale allargamento della fascia di cittadini che versano in condizioni di povertà assoluta (circa il 10 per cento dell'intera popolazione). E neanche coloro che lavorano se la passano bene. L'Inps ha certificato che nel 2021: "La distribuzione dei redditi all'interno del lavoro dipendente si è ulteriormente polarizzata, con una quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza (780 euro)". La gente non c'è la fa a sopravvivere con redditi da fame e con il rischio incombente che le bollette di luce e gas crescano ancora.
Le imprese non ce la fanno a reggere. La recessione è alle porte. Tutto va a rotoli. E siamo solo all'inizio se è vero che Mosca, oggi nemica e fino a ieri amica, potrebbe decidere di stringerci il cappio al collo interrompendo totalmente l'erogazione di gas al nostro Paese. L'elenco delle cose che vanno malissimo è lungo e ogni italiano ha imparato a conoscerlo sulla propria pelle. Il nocciolo della questione non cambia: tutto questo è accaduto sotto il Governo Draghi e per le scelte compiute, in particolare in politica estera, da Mario Draghi in persona. Ha giocato a modo suo, ma il conto lo pagano gli italiani. Perché dovremmo stracciarci le vesti per la sua prematura dipartita da Palazzo Chigi? Ciò che di buono e di grande ha fatto Mario Draghi nella sua vita professionale non è in discussione.
I meriti restano i suoi e nessuno può portarglieli via. Ma come capo di un Governo d'emergenza nazionale, il bilancio è fallimentare. Se si esclude la fase iniziale dell'organizzazione della campagna vaccinale anti-Covid, che ha funzionato, da qualche mese a questa parte il premier non ne ha azzeccata una giusta. E non parliamo solo delle gaffe collezionate nelle uscite pubbliche. Si diceva del peso ai tavoli internazionali. L'unica idea che Super Mario ha avuto per tentare di frenare la spirale verso l'alto del prezzo del gas è stata di chiedere all'Unione europea l'introduzione di un tetto al costo della preziosa materia prima energetica. Vi risulta che gli abbiano dato ascolto? A Bruxelles non se l'è filato nessuno.
E se solo adesso i pachidermi della Commissione europea hanno deciso di approntare un piano d'emergenza comune per fronteggiare la crisi del gas è perché lo ha comandato la Germania, in grandi ambasce con gli approvvigionamenti energetici dopo che Mosca ha chiuso il gasdotto Nord Stream 1 con il pretesto della manutenzione da effettuare all'impianto, e non perché lo abbia preteso Mario Draghi. Quindi, di quale peso politico internazionale stiamo parlando? Quello di essere andati col cappello in mano dai peggiori dittatori africani a piatire di fornirci il gas che manca all'appello, pronti a pagarlo a peso d'oro? Di sicuro sbagliamo noi che, finora, abbiamo pensato che l'autorevolezza di un leader di caratura internazionale fosse un'altra cosa. Lasciamo allora che Draghi vada per la sua strada. Intestardirsi a trattenerlo sulla scena istituzionale è un inutile e masochistico accanimento. Ora, per quanto la cosa suoni paradossale, è tempo che la politica la smetta di strisciare, rialzi la testa e si rimetta in cammino.
Si dirà: questo è il momento peggiore per farlo. E da quando si deve attendere il sole per riprendere il viaggio? È nei momenti più bui che una comunità deve trovare la forza di reagire, cambiando. Si obietterà: c'è una guerra, non possiamo restare senza una guida. E dove sta scritto che non si possa? In questi mesi ha fatto capolino il nome di Winston Churchill, a proposito di fermezza morale nel non piegarsi alla violenza dei dittatori. Peccato che quelli che sono soliti citarlo spesso, talvolta a sproposito, dimentichino che Churchill non era il capo del Governo britannico in carica all'atto dello scoppio della guerra. Divenne primo ministro nel maggio 1940, al posto del dimissionario Neville Chamberlain, quando Londra era sotto i bombardamenti della Luftwaffe di Hermann Göring.
Se non ricordiamo male, la Gran Bretagna poi la guerra l'ha vinta. Con ciò vogliamo significare un concetto molto preciso: non bisogna avere paura delle urne. La sinistra, terrorizzata dall'idea che si vada a votare a breve, accamperà mille pretesti per dire che questo non è il momento giusto per ridare la parola agli italiani. Non fatevi ingannare. Chi sostiene che le urne autunnali siano una iattura è motivato da interessi personali o di partito, che mai corrispondono a quelli della nazione. È vero, la macchina dello Stato si rallenterà per qualche mese, ma ne vale pena se, in cambio, si riesce ad avere un Governo forte e coeso, di segno coerente, che si assuma la responsabilità di guidare l'Italia fuori dalla peggiore crisi economica e sociale dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ora è il tempo del coraggio e della responsabilità. Lo diciamo ai leader del centrodestra: si mostrino uniti e compatti in vista di una grande prova. Se il Paese chiama, rispondano nel modo giusto.
Il nostro, tuttavia, è solo eccesso di cautela. Confidiamo nel fatto che stavolta Silvio Berlusconi e Matteo Salvini siano convinti che non esistono soluzioni alternative accettabili per schivare le urne. Eppure, c'è chi teme (a torto?) che i leader della destra di governo si lascino condizionare dalle sirene dei propri dirigenti che, avendo vissuto dalla plancia di comando l'esperienza del Governo Draghi, vorrebbero che nulla cambiasse e tutto tornasse com'è stato fino a ieri l'altro. Ma siamo impazziti? Rimettere indietro le lancette dell'orologio? Berlusconi e Salvini prendano esempio dall'Odisseo che, per evitare di cadere preda del canto ammaliante delle mostruose creature, mise tappi di cera alle orecchie e si fece legare all'albero di maestra della nave. Date retta a noi, le sirene è meglio che restino confinate nei libri fantasy.