di Giorgio Oldoini
Agli inizi della Prima repubblica, l’elettore italiano aveva precise idee politiche e votava il candidato o il partito appartenente a una determinata famiglia spirituale.
Il più modesto militante comunista conosceva i principi economici fondamentali, quali la relazione tra produzione e consumo o tra produttività e livello dei salari. Conosceva perfettamente l’art. 12 della Costituzione russa, secondo cui “Chi non lavora non mangia”.
Durante la XI legislatura, il PDS poteva far conto su una forza di 107 deputati e 64 senatori. Il 62% dei deputati e il 56% dei senatori erano funzionari di partito, segretari locali di sezione, dipendenti di cooperative o sindacalisti. Il PD ha avuto serie difficoltà a ricomporre una base di ricambio per questi vecchi militanti.
Il movimento di Forza Italia, così efficiente nell’organizzarsi alle elezioni del ’94, non è mai riuscito a dare vitalità ai suoi club. La diffidenza della massa verso la politica ha investito ogni forma di
associazionismo. Resiste la parrocchia, si salva a stento il volontariato. È il “disimpegno” il comandamento dell’Italia moderna.
Tutti questi movimenti non avevano alcuna pretesa di formare una classe dirigente di tipo politico. L’obiettivo era la “persuasione”: bisognava sviluppare i riflessi condizionati degli elettori mediante l’uso di parole, simboli, o azioni-chiave.
Non si dovevano insegnare i principi di governo della cosa pubblica, bastava controllare gli istinti della gente. Un insegnamento che sarebbe stato preso alla lettera da Beppe Grillo, che si è limitato ad assumere come programma dei 5 Stelle l’istinto più atavico: quello dell’odio globale verso il sistema.
Un programma più efficace di qualsiasi manifesto Riformista, che non richiede la presenza di parlamentari con una preparazione di base.
Le formazioni politiche si sono moltiplicate nel tempo anche perché le leggi elettorali hanno sempre riconosciuto importanti ristori economici ai “fondatori” di partiti e movimenti.
A partire dal 1993, allo scopo di semplificare il quadro politico, fu introdotto il Mattarellum, che doveva garantire la governabilità per 5 anni. Per ridurre il numero dei gruppi sono nate formazioni
“artificiali”, che comprendevano la sinistra ex comunista, quella riformista e democristiana-
Oppure liberali, ex missini, leghisti e formazioni di supporto. Il sistema dei due blocchi, agglomerati che raggruppano interessi territoriali, clan, apparati, è stato un fallimento. Infatti, il conflitto esterno tra i partiti, si è trasferito al loro interno, con lo stesso risultato dell’ingovernabilità.
Per rimediare ai mali dell’uninominale, le teste d’uovo della politica stanno discutendo sulla reintroduzione del proporzionale.
Non è peraltro il sistema elettorale in sé a garantire la stabilità: in Inghilterra vige il maggioritario, in Germania il proporzionale, con analoghi risultati pratici.
Quali sono i mali endemici che si dovrebbero eliminare per raggiungere un’accettabile condizione di governabilità? Anzitutto il “trasformismo” diventato stile di governo, che ha interessato la
sinistra (Renzi, Calenda e altri minori), ma soprattutto i 5 Stelle (con erosioni costanti, l’ultima delle quali si deve a Luigi Di Maio).
Per difendersi da questa pratica che ha radici lontane, Bossi si faceva firmare le dimissioni in bianco. Il gruppo dei 5 Stelle, aveva introdotto un risarcimento economico a carico del transfuga,
una previsione che avrebbe richiesto la modifica della norma costituzionale.
L’altro male endemico è quello della spartizione delle cariche. Renzi, il “primo” rottamatore che voleva eliminare dal potere le sinistre interne, aveva creato i boy scout della Leopolda. Si trattava,
in prevalenza, di presenzialisti molto attivi nei convegni. I giudici sono intervenuti ipotizzando ilreato di voto di scambio.
Le masse elettorali dei 5 Stelle, che pensavano ad un rinnovo etico del sistema, sono state deluse, perché il movimento ha finito per incarnare le pratiche più criticabili della Prima Repubblica. Fino
al punto di nominare segretario del partito Giuseppe Conte, un avvocato scelto per caso, che ha diretto governi di destra e di sinistra e fa oggi precipitare nel baratro l’intero paese.
Per ridare vitalità alla nostra democrazia, bisogna limitare il business della politica. Perché un individuo che guadagna mille euro al mese, una volta eletto al Parlamento ne prende undicimila?
La retribuzione al parlamentare è sempre stata giustificata con il fatto che la persona sacrifica al bene comune cinque anni della propria vita.
Se di questo si tratta, sarebbe ragionevole riconoscere il rimborso spese ed una retribuzione non superiore (ad es.) al doppio del reddito percepito nella precedente vita lavorativa. Una norma che dovrebbe valere anche per le amministrazioni locali. Si tratterebbe di un bel segnale politico, in linea con le scritture fondanti del movimento grillino, il cui unico custode è rimasto Di Battista.