La crisi di Governo voluta da Conte spinge l’Italia verso il caos costituzionale: combinato effetto di legge elettorale e taglio dei parlamentari.
Chissà se l’Avvocato del Popolo con la sua sortita ha tenuto in qualche considerazione una serie di problemi tecnici ed istituzionali derivanti dallo scioglimento anticipato delle Camere.
È noto che un governo dimissionario resta in carica per il “disbrigo degli affari correnti”.
In occasione e contestualmente allo scioglimento anticipato delle Camere, i Presidenti del Consiglio dei Ministri che si sono succeduti negli ultimi anni, hanno adottato, quanto meno dal 2000 in poi, delle “direttive” volte a delineare le finalità dell’operato del Governo dimissionario, al fine di disciplinare e limitare le relative funzioni che potevano essere esercitate dall’Esecutivo in quella fase.
Si è insomma voluto assicurare la continuità dell’azione amministrativa, escludendo quindi atti che impegnassero la responsabilità politica del governo dimissionario.
Sostanzialmente non possono assumersi decisioni che vadano al di là della gestione dell’ordinaria amministrazione.
Una situazione del genere senza alcun dubbio provoca uno stallo nell’azione di Governo.
Per esempio, l’approvigionamento energetico, la politica di reperimento delle fonti, le condizioni economiche, sono senz’altro atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, non fosse altro per le spese che impegnano.
Quindi ogni negoziazione sarebbe, in caso di crisi, interrotta, con le immaginabili conseguenze sul piano del futuro sviluppo economico.
La crisi di governo comporterebbe poi l’esercizio provvisorio di bilancio con le difficoltà ad esso connesse, a partire dal blocco degli impegni di spesa soprattutto per gli enti locali che non potrebbero assicurare molti servizi essenziali.
Ma esiste un ulteriore piano poco indagato.
La legge elettorale con cui i cittadini saranno chiamati alle urne.
Come è noto la legge costituzionale 240/19, fortemente voluta proprio dal partito di Conte, ha disposto il taglio del numero dei Parlamentari che passeranno da 915 a 600.
Quasi subito ci si era accorti che la modifica avrebbe comportato qualche problema di rappresentanza popolare.
Pur non trovando un accordo, i partiti avevano individuato nel superamento della base regionale per l’elezione del Senato, a favore di quella circoscrizionale, il necessario correttivo che avrebbe tenuto indenne il sistema elettorale da censure di natura costituzionale.
Secondo alcuni costituzionalisti poi, il taglio del numero dei senatori comporta anche uno squilibrio per quanto riguarda l’assegnazione dei seggi ai vari partiti.
Insomma, una serie di problematiche che dovevano essere risolte con la riforma del “Rosatellum”, l’attuale legge elettorale.
Quello con il quale si andrebbe a votare, dato che l’accordo tra i partiti necessario ad armonizzare la rappresentanza parlamentare con la riforma costituzionale che ha sancito il taglio dei parlamentari, non è stato raggiunto.
Ne consegue che l’esito elettorale che seguirebbe al ricorso anticipato alle urne con l’attuale sistema elettorale, sarebbe viziato da profili di incostituzionalità sui quali potrebbe essere chiamata a pronunciarsi l’Alta Corte con esiti a dir poco incerti per la futura legislatura.
Problemi che senz’altro non interessano a chi reclama il ricorso immediato alle urne – rimedio buono per qualsiasi cosa in omaggio al malinteso proposito della “volontà popolare” – ma che esistono, e devono essere affrontati a salvaguardia della legalità costituzionale.