Non accenna a placarsi la tensione nella maggioranza in attesa delle comunicazioni in Parlamento del premier Mario Draghi. A far da detonatore è la situazione in atto nel Movimento 5 Stelle, il partito che ha provocato, di fatto, la crisi scegliendo di non votare la fiducia in Senato, sul Dl Aiuti e che ieri ha riunito i propri parlamentari in assemblea congiunta nel tentativo di trovare una linea di condotta comune da adottare nel “d-day” di mercoledì, in Parlamento.
Al momento il partito di Giuseppe Conte è letteralmente spaccato e non è escluso che, dopo quella provocata da Luigi Di Maio, possa andare incontro ad una nuova e più sanguinosa scissione. Sul piatto, infatti, spicca ancora una volta la fiducia al presidente del Consiglio "dimissionario". Da una parte ci sono i fedelissimi di Conte, tra i quali la "pasionaria" Taverna e il ministro per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, propensi a non mollare la presa e addirittura pronti a ritirare la propria rappresentanza dal governo, con l'ex premier che anche ieri è tornato a ribadire che nel caso in cui non arrivassero risposte da Draghi, la linea dei grillini non cambierà: "Capisco le difficoltà di ognuno ma chi non se la sente di essere su questa linea è libero di andare via. Ma adesso la decisione non spetta a noi, ma spetta al premier Draghi". Non mancano, ovviamente, dall'altra spiccano i filo-governisti, che spingono invece per non far cadere l'esecutivo.
"Fiducia? Non si capisce perché non dovremmo votarla" ha spiegato il capogruppo Davide Crippa. "Il M5S deve rimanere nel governo per vedere i decreti, rimediare agli errori, come quelli sul superbonus, e dare risposte ai cittadini. Dall'opposizione la vita non la migliori. Fai solo propaganda" ha rincarato la dose il deputato. I “governisti” sono accusati dai contiani di fungere da "spie" di Di Maio e di voler fare il gioco del ministro degli Esteri. Tuttavia si sussurra che molti tra loro (si parla di una ventina di deputati e di tre o quattro senatori) siano pronti a lasciare con la possibilità, dunque, che il Movimento si spacchi ulteriormente con lo strappo di un gruppo che non intende seguire la linea di Conte. In attesa di come evolverà il dibattito, i fari sono tutti puntati su Draghi. Il pressing, anche a livello internazionale, affinché l’ex “numero uno” della Bce resti a palazzo Chigi si fa di ora in ora sempre più forte.