di Silvana Mangione
...ovvero la brama di autodistruzione. Nei secoli l'hanno subìta, per le proprie scelte, regni e individui, dall'impero persiano a quello romano, da Napoleone ai leader del nazifascismo, preceduti da una lettura profetica di quanto stava avvenendo in Germania dopo la fine della Prima guerra mondiale. Tristan Tzara, padre del movimento dadaista, datato Parigi 1920, scriveva nella sua pièce La prima avventura celeste del Signor Antipirina: "Dada è la nostra intensità che drizza baionette senza conseguenza la testa sumatrale del poppante tedesco". Vale a dire che, fin da piccoli, i tedeschi di allora, fortemente revanscisti dopo la sconfitta, indossavano sin dalla nascita gli elmetti a calotta con la punta (tipici delle ballerine di Sumatra) in preparazione a una nuova guerra di conquista. E continua: "Dada è l'arte pro e contro l'unità e certamente contro il futuro... Necessità rigorosa senza disciplina né morale e sputiamo sull'umanità". Perché questa nostra lunga citazione? Perché scriviamo subito dopo che il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto per le elezioni anticipate che si terranno il 25 settembre. Perché la citazione di un secolo fa descrive l'incomprensibile crisi di Governo, che si è compiuta al Senato mercoledì scorso e che ha le sue origini nel recente aumento di consensi al partito neofascista, guidato dalla Marie Le Pen borgatara nostrana. Ne danno atto i sondaggi che l'hanno vista arrivare testa a testa, con sorpassi alternati, fra Fratelli d'Italia e il Partito Democratico. Gli attacchi di chi sta all'opposizione urlando accuse al Governo a guida Draghi, in carica da febbraio 2021, ha avuto presa facile sulle comprensibili paure delle fasce più deboli della popolazione. Peccato che a quella protesta non si sia mai accompagnata alcuna proposta di soluzioni concrete, che richiederebbero l'intelligenza politica, il rispetto del quadro europeo e la statura internazionale di una figura come Draghi. Il successo della Vispa Teresa romanesca ha avuto però una tragica conseguenza, di cui abbiamo visto i risultati mercoledì scorso: ha messo in pericolo sia il trono su cui siede da tempo il Cavaliere milanese sia le aspirazioni alla guida della coalizione di centrodestra da parte del papeetiano leghista, che non perde occasione di fare harakiri. Il Governo di unità nazionale ha cominciato a essere contestato dall'interno da Salvini, capace di dire tutto e il contrario di tutto a distanza di poche ore dall'esternazione precedente. L'ormai quasi-ex M5S, uscito pieno di ammaccature e al suo minimo storico dalle amministrative, ha iniziato a perdere pezzi singoli e di gruppo. Di Maio si è sfilato portandosi via i pavidi in fuga dal declino e gli opportunisti alla caccia del terzo mandato. Per rifarsi una verginità, l'ex Presidente del Consiglio, l'azzeccagarbugli di Volturara Appula – Comune con 416 abitanti in Provincia di Foggia – ordina ai suoi l'astensione dalla fiducia sul Decreto Aiuti con la scusa dell'opposizione al termovalorizzatore, che salverebbe Roma dall'essere inghiottita dai rifiuti e Draghi presenta le dimissioni al Presidente della Repubblica. In un anno e mezzo circa di governo il nostro Mario internazionale ha sciorinato una pazienza molto superiore a quella del biblico Giobbe, faticando a far passare ogni intervento salva-Italia nella foresta dei distinguo di troppi minions, la cui unica pretesa all'esistenza è alzare la propria inconseguente vocetta "contro" colui che ha fatto avere al nostro Paese l'appoggio e i fondi dell'Unione europea, le basi del PNRR, le prime riforme strutturali, l'abbattimento dello spread e, più di tutto, la riconquista della posizione dell'Italia al vertice della politica comunitaria, a fianco di Germania e Francia. Qualunque altra Nazione al mondo avrebbe spianato la strada e sostenuto a spada tratta un personaggio come Draghi, il solo in grado di agire glocalmente, come dice Piero Bassetti, cioè a livello sia globale che locale. Ma l'immarcescibile "giuseppi!" (come lo chiama Trump) insiste sulla piena adozione dei suoi 9 punti per rivotargli la fiducia al Senato, dove Mattarella ha giustamente rinviato Draghi per la verifica e la parlamentarizzazione della crisi. Ecco i famosi 9 punti: "reddito di cittadinanza, salario minimo, decreto dignità, aiuti a famiglie e imprese, transizione ecologica, superbonus 110%, cashback fiscale, intervento riscossione, clausola legge di delegazione". Quasi tutti sono già applicati o contenuti nel programma di Governo. Per quanto riguarda il salario minimo, Draghi è addirittura riuscito a farlo includere nell'agenda UE. E allora? Dietro a quale dito ci si sta nascondendo? Quali promesse sono state fatte a "giuseppi!" da Salvini, che ha già bruciato un governo fallimentare a guida Conte? Quali promesse di elezione a Presidente della Repubblica hanno fatto a Berlusconi, candidato in pectore da oltre quindici anni a quello scranno che non occuperà mai? Quali garanzie di Prima donna Presidente del Consiglio hanno dato alla Meloni, pronti a farla fuori dopo pochi mesi di fallita applicazione di un becero sovranismo alla Putin, Erdogan, Orban, Trump? Chiunque sia dotato di normale intelligenza non sa spiegarsi che cosa si è consumato mercoledì al Senato, con una pervicacia degna di ben altra causa: i decimati 5 stelle in aula per completare il quorum richiesto per la validità del voto di fiducia, gli indegni "presenti ma non votanti" del centrodestra, che hanno garantito a se stessi sia il gettone di presenza che la possibilità di scegliere a posteriori, nei prossimi giorni, qualunque posizionamento vantaggioso. Si dimettono da Forza Italia la Ministra Gelmini nell'aula del Senato, seguita dal Ministro Renato Brunetta. Nelle prossime ore assisteremo all'esodo di tutti coloro che sono in cerca di una nuova candidatura in una nuova casa di partito, compresi parecchi colpevoli dello scempio. Sola luce nel buio profondo, Mattarella ha annunciato, senza se e senza ma, che fino alle elezioni il Governo Draghi continuerà di fatto a operare su tutte le scadenze e per tutti gli impegni previsti. Grazie, Presidente!