L'OSSERVATORIO ITALIANO

di Anonimo napoletano

 

 

L'esplosione demografica dei cinghiali che sta creando tanti problemi e danni all'Italia non nasce dal nulla. La causa, come spesso accade quando si tratta di calamità naturali, non è della natura ma dell'intervento nefasto degli esseri umani. Fino a venti o trent'anni fa la presenza dei cinghiali in Italia era comune e diffusa ma non rappresentava un problema. La natura si occupava di regolare, come per tutte le specie, anche il numero di questi animali. Del resto si trattava di animali di taglia relativamente piccola. Il cinghiale italiano non arriva nemmeno a ottanta chili di peso, la femmina fa una sola cucciolata all'anno e partorisce in media due o tre cuccioli. Inoltre, in natura aveva dei competitori nel lupo appenninico, che negli ultimi trent'anni è andato quasi scomparendo a causa della aumenta antropizzazione, dell'avversità degli allevatori (caccia abusiva e avvelenamenti) e della diminuzione dell'habitat naturale, con conseguente scarsità delle prede disponibili. Scomparso quasi del tutto il lupo, a contenere l'avanzata dei cinghiali erano rimasti solo i cacciatori. E fin qui tutto funzionava abbastanza bene. Tanto bene che il cinghiale era diventato un animale raro, difficile da scovare, poco confidente con gli uomini e con gli insediamenti umani. È stato a questo punto che è intervenuto in maniera scellerata l'essere umano. Le associazioni di cacciatori, complici le regioni, hanno premuto per aumentare la presenza di cinghiali attraverso il ripopolamento, che è stato attuato introducendo una razza straniera, il cinghiale ungherese. Una scelta frutto della profonda ignoranza di chi ha operato. Il cinghiale ungherese, infatti, è molto diverso da quello nostrano. A differenza di quello italiano, l'ungherese arriva a pesare dai duecento ai trecento chili. Questo comporta diverse conseguenze. In primo luogo ha maggiore bisogno di cibo, e per questo deve predare i terreni agricoli e arrivare a razzolare nell'immondizia vicino ai centri abitati. In secondo luogo è meno attaccabile dai predatori naturali. In terzo luogo è più pericoloso per l'uomo sia nel caso di attacchi (quasi sempre difensivi o dovuti a paura), sia nel caso di scontro con veicoli lungo le strade. Una cosa è investire un animale di 70 chilogrammi, un'altra è scontrarsi contro un bestione di due quintali e mezzo. Non solo. Il cinghiale ungherese si riproduce dalle due alle tre volte all'anno, a seconda della disponibilità di cibo, che in Italia è purtroppo abbondante. E ad ogni cucciolata la scrofa partorisce fino a dieci cuccioli. C'è una grossa differenza tra il cinghiale nostrano, che in un anno produce due o tre discendenti, ed uno ungherese che in un anno sforna fino a trenta cuccioli. 

Come risolvere questo problema che sta diventando sempre più fuori controllo? Nessuno ha la ricetta miracolosa. Gli ambientalisti parlano di reintroduzione delle specie predatrici dei cinghiali (il lupo), e di sterilizzazione delle femmine. Gli agricoltori chiedono l'eliminazione dei cinghiali o tramite avvelenamento o tramite trappole e attività venatoria. E i cacciatori, che sono stati la causa della nascita del problema, si propongono ora come la soluzione, chiedendo di poter cacciare i cinghiali ovunque, anche in aree protette, e tutto l'anno. Un metodo che secondo gli ambientalisti non risolverebbe affatto il problema. L'abbattimento concentrato sulle classi adulte, spiega il Wwf, provoca quella che i tecnici faunistici chiamano destrutturazione della popolazione di cinghiali, aumentano esponenzialmente i piccoli, che fanno più danni all’agricoltura, perché si muovono di più e soprattutto mangiano di più. «Se dal folto della macchia sbucano, inseguiti dai segugi, una scrofa da 200 kg e 6 o 7 cinghialetti da 10-15 kg, un qualsiasi cacciatore – afferma Sauro Presenzini, presidente del Wwf Umbria – sparerà alla scrofa, perché il bersaglio è più grande e dunque più facile, e perché la carne a disposizione sarà molta di più».

Paolo, una guida di montagna abruzzese, spiega inoltre che i cinghiali vivono in branchi dove comanda una femmina anziana. In quel branco, che ha dai dieci ai venti esemplari, solo la femmina leader può accoppiarsi e fare figli. La caccia non selettiva, che mira a caso, rischia di uccidere proprio la femmina leader del branco. Così permettendo a tutte le altre giovani femmine di cominciare a figliare quello stesso anno. Paradossalmente, l'uccisione dell'animale sbagliato produce effetti esattamente contrari a quelli desiderati, portando ad una nuova esplosione demografica.