di Davide Leo
Alla fine l’ha spuntata Grillo. Il fondatore e garante M5s nei giorni scorsi aveva minacciato di abbandonare la sua creatura, se Giuseppe Conte avesse aggirato anche l’ultima regola del Movimento delle origini ancora in piedi: quella sul vincolo dei due mandati, che lo stesso ex comico aveva definito “la luce nelle tenebre”. Entro oggi la decisione ufficiale, ma secondo le indiscrezioni Conte avrebbe già comunicato ai vertici M5s il dietrofront sulle deroghe. Arrivederci e grazie a 49 parlamentari quindi, tra cui ministri, ex ministri, alte cariche dello Stato, ex capi politici e big del Movimento fedelissimi di Conte, una vera e propria armata di professionisti della politica (dopo due legislature è il caso di dirlo) che adesso dovranno lasciare la poltrona e magari ritornare a fare quello che facevano prima di “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”.
L’atmosfera in via Campo Marzio, dove il Movimento ha sede, non è delle migliori e per i 49 incandidabili è ora di fare i conti con la realtà: “È una regola che conosciamo da dieci anni”, ha commentato il deputato Giuseppe Brescia, “non speravamo in una deroga”. Per quanto riguarda la futura occupazione degli scaduti, Brescia assicura: “Continueremo ad essere vicini al Movimento e a dare il nostro contributo. Lo faremo fuori dalle istituzioni, per quello che potremo”. È da capire quanto effettivamente potranno, dal momento che pare sia saltata per i veterani anche l’ipotesi di una “rotazione” nei consigli Regionali o al Parlamento europeo. Con una ricollocazione così difficile, alcuni degli eletti potrebbero davvero tornare a fare quello che facevano prima del 2013.
Quando Grillo e Gianroberto Casaleggio fissarono questa regola avevano in mente “una politica intesa come servizio civile”, dove l’esperienza e il mestiere vengono sacrificati in nome di “una nuova visione di fare politica”. Ma chi sono ora i pentastellati “scaduti”? Il primo della lista è Roberto Fico, attuale presidente della Camera e terza carica dello Stato, una delle figure principali del Movimento e tra i più vicini ai Beppe Grillo, tanto che per lui era stata inizialmente prevista una “mini deroga” per meriti speciali. Niente da fare, anche lui non potrà essere candidato. Fondatore del meetup Amici di Beppe Grillo di Napoli nel lontano 2005, prima di Montecitorio Fico ha lavorato nel settore della comunicazione, in uffici stampa e anche come impiegato in un call center. Dopo aver tenuto a bada per quattro anni i furori dei deputati, siamo certi che saprà vendere cara la pelle anche con i clienti più maleducati.
Altro gruppo di big per cui è game over in parlamento è quello dei ministri ed ex ministri. Si parte dagli attuali membri del Governo Draghi, protagonisti qualche giorno fa della curiosa contorsione di non votare la fiducia per loro stessi. Il primo di loro è il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che fino all’ultimo ha cercato di mediare per far rientrare la crisi di Governo. Per lui, laureato in economia, un passato da caposettore nella grande distribuzione e nella robotica, cui potrebbe presto tornare. Ai saluti anche l’esperienza parlamentare (con i 5S) dell’avvocata Fabiana Dadone, ministra delle Politiche giovanili e della Pubblica amministrazione nel Conte II: dopo aver difeso i giovani e gli impiegati statali, sarebbe naturale per lei proseguire con la professione forense.
Tra gli ex ministri pronti a salutare il parlamento ci sono l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, avvocato e dj, l’ex segretario del Consiglio dei ministri Riccardo Fraccaro, la “madre” del Reddito di cittadinanza ed ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo e Danilo Toninelli, ministro dei Trasporti nel governo gialloverde, tra i pochi ad essersi espressi a favore del vincolo dei due mandati: “Alla politica fatta solo per soldi e potere, noi contrapponiamo la politica come missione. Ora avanti a testa alta e se qualche altra ‘zavorra’ si staccherà dal M5s vorrà dire che riusciremo a volare ancora più alti”. Buon volo anche a lui quindi, ex liquidatore di sinistri e impiegato assicurativo. Sulla linea di Toninelli anche l’ex ministro della Salute e medico legale Giulia Grillo.
Altro nome altisonante ma non più eleggibile è quello della vicepresidente del Senato Paola Taverna. Nemmeno per lei, fedelissima di Conte, c’è stato nulla da fare: il suo futuro è lontano dal Montecitorio. Prima di essere eletta nel 2013, Taverna lavorava come impiegata in un poliambulatorio di analisi, ma potrebbe cambiare professione facendo valere la laurea triennale in scienze politiche conseguita alla Sapienza nel 2019. L’argomento della tesi? Reddito di cittadinanza e salario minimo. Colpito dal vincolo anche l’ex capo politico Vito Crimi, che dopo Roma potrebbe tornare nella sua Palermo oppure a Brescia, dove lavorava come assistente giudiziario. Tra i 49 non più candidabili anche il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, insieme a un consistente gruppo di esponenti che hanno svolto o svolgono ancora incarichi governativi nelle ultime due legislature.
L’esperienza e le competenze accumulate in questi 9 anni hanno questi 49 parlamentari M5s molto diversi da quando, nel 2013, arrivarono per la prima volta a Roma e sembravano ai più dei dilettanti allo sbaraglio, che necessitavano di un prontuario su dove andare a mangiare, come vestirsi e che case affittare mentre “ribaltavano la casta”. Adesso, la dura legge del Movimento li vuole fuori dai giochi, prima che casta lo diventino anche loro. A sostituirli una nuova generazione di grillini, guidati da qualche new entry di rilievo pronta a prendersi uno scranno a Montecitorio: sono sempre più probabili le candidature di Virginia Raggi in un collegio a Ostia, di Chiara Appendino a Torino e del Revenant Alessandro di Battista, attualmente in viaggio in Russia. Il leader Giuseppe Conte potrebbe candidarsi per il suo primo mandato con il M5s a Roma, probabilmente al collegio plurinominale del Senato.
Ma per 49 che piangono, ce ne sono decine che ridono: sono il cospicuo gruppo di parlamentari al secondo mandato che, per una questione o per l’altra, ha abbandonato il Movimento durante questa legislatura. Nel 2018 i 5S erano 340, ma in quattro anni hanno perso il 54% degli eletti alla Camera e il 45% dei senatori, molti dei quali sarebbero stati “epurati” dal vincolo di ferro. Tra i fuoriusciti tanto sono passati al Gruppo Misto e a L’Alternativa c’è, ma tra chi l’ha scampata non si può non citare il gruppo dei dimaiani: tra i 53 deputati e 11 senatori che hanno appoggiato la scissione di Luigi Di Maio e sono ora con Insieme per il futuro c’è, oltre allo stesso ministro degli Esteri, la viceministra dell’Economia Laura Castelli, il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano e altri rappresentati delle istituzioni come Dalila Nesci e Francesco D’Uva. Per tutti loro, se fossero rimasti nel Movimento, sarebbe stato Game over, e invece adesso potranno tranquillamente candidarsi per la XIX legislatura. Resta solo una piccolissima cosa da capire: con quale partito?