di Franco Manzitti
Senza governo almeno fino a novembre, se non quello dei cosiddetti “affari correnti”, lo stop a opere fondamentali non solo previste dal PNRR mette in crisi molti territori italiani. Ma soprattutto la Liguria, dove all’inizio del 2023 dovevano decollare i cantieri della più grande opera pubblica italiana: la costruzione della nuova diga portuale, un kolossal da 1 miliardo e 300 milioni per “allungare” al largo di 500 metri le banchine genovesi. Operazione su cui il governo Draghi aveva puntato molto e Genova praticamente tutto.
Già prima del crack politico il bando della gara era andato deserto per i costi enormi cresciuti dopo lo scoppio della guerra. I due gruppi concorrenti per costruire questo immenso superporto, “We Bild” e “Fincantieri” da una parte e la spagnola “Annoceria” con Gavio dall’altro, si erano fermati e l’Autorità portuale aveva incominciato una delicatissima trattativa diretta per trovare uno sbocco allo stop.
Quando è caduto fragorosamente Draghi tutto si è fermato, ma il ministro “facente funzione”, Enrico Giovannini, si è precipitato a Genova a cercare di trovare una soluzione per affidare i lavori e far aprire i cantieri entro l’inizio del prossimo anno.
Senza quell’opera lo smacco italiano, prima che quello genovese, sarebbe imperdonabile. Ma il percorso è difficile e non solo per i circa 300-400 milioni in più che bisogna trovare.
L’opera è molto in discussione, sia per le difficoltà che la sua realizzazione implica, sia per i rischi ambientali che comporterebbe la costruzione.
Su un fondale profondo di circa 40-50 metri, molto fangoso e instabile, dovrebbero essere piazzati cassoni alti da 25 a 38 metri, fino a completare una muraglia sottomarina lunga almeno cinque chilometri, al largo di 500 metri dalla precedente diga costruita agli inizi del Novecento con il finanziamento privato del marchese Raffaele De Ferrari, principe di Lucedio, il Rockefeller dell’Ottocento in Europa.
Si tratta oggi della più grande opera portuale mai realizzata da decenni e decenni nei porti italiani. I critici della prima ora della costruzione, tra i quali l’ingegner Piero Silva, grande esperto di opere portuali, hanno esposto da subito enormi perplessità.
La prima riguardava proprio i costi nettamente superiori anche ai sovraccosti che hanno fatto arrendere i primi contendenti. La seconda i tempi di costruzione, indicati in cinque anni dai gruppi in corsa e che, invece, sarebbero almeno del doppio.
La terza perplessità riguarda le controindicazioni ambientali: mettere le mani nel profondo del golfo genovese significherebbe inquinarlo per molti anni, minacciando praticamente ogni attività in tutto l’arco genovese: da quella balneare, a quella della pesca. Una specie di apocalisse non solo per il turismo, ma soprattutto un cambio di destinazione dell’economia genovese, votata integralmente al mega traffico portuale, con il golfo monopolizzato dal viavai delle mega navi, lunghe più di 400 metri, cariche di container, con il vecchio porto tombato e la città là in fondo, dominata integralmente dal predominio delle banchine.
Questa opera sospesa non è il solo crack post Draghi.
C’è anche la famosa Gronda, una tangenziale di 75 chilometri destinata a liberare Genova e le sue autostrade da un traffico indomabile, già approvata, con i finanziamenti impostati, con i cantieri pronti o quasi, cui mancava solo la firma di un ministro nel pieno dei suoi poteri.
Questa firma, attesa da decenni non arriverà più e la Gronda, che prima si chiamava Bretella, e che è attesa dal 1989, la cui costruzione avrebbe evitato il crollo del ponte Morandi, resterà in fondo a un cassetto, meglio a centinaia di cassetti che hanno contenuto quel maxi progetto, mentre passavano, governi, ministri, società autostradali e Genova soffocava nel suo strozzamento infrastrutturale.
Poi ci sono le conseguenze più politiche e non solo quelle che riguardano ogni territorio e ogni partito in questa folle estate di campagna elettorale.
Esiste un caso Liguria per la presenza di Giovanni Toti, presidente della Regione, che è uno dei più decisi “centristi”, con il suo movimento nazionale “Italia al Centro”.
Toti, oltre a un possibile alleato di questa neonata e per ora confusa formazione centrale, in Liguria è alleato nel governo della Regione con Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia.
Tra mille polemiche presiede e non solo. E’ anche titolare di due assessorati chiave, Bilancio e Sanità, che i suoi alleati vorrebbero togliergli da mesi.
Come farà Toti a partecipare all’operazione nazionale-centro per sbarrare il governo romano alla Destra meloniana, salviniana e berlusconiana e allo stesso tempo starsene a Genova a governare con loro?
Ma questa è la politica di oggi…