di Gianni Del Vecchio
I nostalgici del Movimento 5 stelle che fu, quello delle origini, del Vaffa all'establishment, dei duri e puri, della democrazia orizzontale, dell'uno vale uno, insomma quella roba lì, la settimana scorsa hanno accolto con gioia e fiducia il diktat di Beppe Grillo sull'inderogabilità della regola dei due mandati. Per loro è stato un intervento salvifico, quasi catartico, capace di mondare almeno in parte tutte le concessioni che, passo dopo passo, anno dopo anno, M5s ha dovuto fare alla realpolitik cambiando strutturalmente il suo Dna, dall'accesso ai soldi pubblici all'iscrizione nel registro dei partiti, dalla creazione di mille e più organi statutari con cariche e prebende annesse alla caduta del divieto di alleanze con altre forze politiche. Una fiammella di speranza che il Movimento potesse reincarnarsi in se stesso, magari anche grazie al ritorno del pasdaran che più rappresenta l'ortodossia di Gianroberto Casaleggio: Alessandro Di Battista. E invece niente di tutto questo. E' passata solo una manciata di giorni e tutto è tornato come prima. Giuseppe Conte è riuscito a infarcire le regole per le parlamentarie con una marea di codici e codicilli ad hoc per salvare la candidatura dei big del Movimento a lui più fedeli. Un capolavoro da azzeccagarbugli di provincia, come solo lui sa fare. Col risultato che alla fine per alcuni le deroghe non sono state possibili (vedi Taverna, Fico e Bonafede, per ricordarne solo qualcuno) e per altri invece sì (vedremo chi nel seguito dell'articolo, non rovino la sorpresa). Insomma, come diceva George Orwell nell'indimenticabile La fattoria degli animali, tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.
Partiamo dalla prima deroga alle norme tradizionali pentastellate per scegliere chi candidare in parlamento. Non è più necessario avere una fedina penale completamente immacolata per diventare deputato e senatore del Movimento. Ora ci si potrà candidare anche dopo una condanna di primo grado (solo primo, attenzione, chi perde in appello resta a casa) ma a patto che tale condanna sia per reati colposi e non dolosi. Norma, questa, ipertecnica e iperspecifica, tanto da far sospettare che sia stata vergata a favore di qualcuno in particolare. E...toh, manco a farlo apposta, c'è un esponente storico del Movimento di fede contiana che rientra appieno in questa fattispecie: l'ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, ha sul groppone una sentenza di primo grado di condanna per un anno e 6 mesi di reclusione per i fatti accaduti la sera del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo quando, durante la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, un'ondata di panico collettivo ha causato il fuggi fuggi della folla radunata davanti al maxischermo che causò la morte di due persone e il ferimento di altre centocinquanta. Reato, questo, colposo e non doloso per Appendino, ovviamente.
Altra deroga riguarda la tradizionale norma che prevedeva di essere iscritti al Movimento - in particolare sulla piattaforma Skyvote - da almeno 6 mesi per poter partecipare alle parlamentarie. Regola che una volta aveva una sua razionalità: così si voleva evitare che M5s fosse preso come un tram da perfetti sconosciuti per entrare in parlamento. Anche questa regola ora non c'è più. E guarda caso in questo modo potrebbe tranquillare candidarsi a un seggio, Alessandro Di Battista, che 18 mesi fa si è disiscritto al movimento in polemica per la scelta di sostenere il governo Draghi. Basta re-iscriversi al volo, il tempo di un click. Vai, Dibba!
Terzo codicillo riguarda i collaboratori esterni del partito di Conte. Grazie alle nuove regole viene meno il 'paletto', presente nel 2018, che sbarrava la porta delle candidature a chi aveva "contratti di collaborazione di qualsivoglia natura e/o di lavoro subordinato con portavoce eletti sotto il simbolo del M5S". Che quindi per correre avrebbero dovuto licenziarsi dall'incarico. Il venire meno di questa norma apre la strada, anzi un'autostrada, a una vecchia conoscenza di Conte: il suo portavoce Rocco Casalino. Non a caso, gira voce che l'ex Grande Fratello sarà candidato in Puglia accanto al suo datore di lavoro nonché conterraneo.
Infine l'ultima deroga riguarda il principio di territorialità ed è una deroga non banale: chi si vuole candidare può anche farlo in un posto diverso da quello di residenza a patto che nel nuovo collegio "abbia domicilio personale o professionale e/o centro principale dei propri interessi; in tal caso dovrà allegare una apposita dichiarazione firmata, sotto la propria responsabilità". Come si vede si tratta di una scappatoia molto ampia che permette a tutti quei big che risiedono in collegi difficili - se non impossibili da conquistare - di trovare salvezza altrove. Questa eccezione dovrebbe fornire un provvidenziale salvagente ad alcune candidature a rischio, come quella del ministro Stefano Patuanelli, che risiede sì, in Friuli Venezia Giulia - collegio durissimo per i pentastellati -, ma che vede il suo "centro di interessi" nel Lazio. Insomma, fatta la legge, trovato l'inganno, come sanno bene gli avvocati. Pardon, l'Avvocato.