di Franco Manzitti
Trenta anni fa la Superba celebrava il suo Cinquecentenario, quello di Colombo e svoltava il suo destino. Se esistevano ancora dei geni pulsanti nel dna di questo popolo cresciuto intorno a quel porto abituato a trafficare nel mondo, sul mare delle tre religioni e degli spazi che Fernand Braudel aveva definito come i veri confini della città Superba, le grandi praterie blu del Mediterraneo , il 1992 era la prova.
Proprio nel cuore di quelle banchine riemerse nel ventre genovese, con i grandi palazzi riscoperti, i palcoscenici riaperti, come quello del teatro lirico Carlo Felice, Zena riscopriva la sua nuova vocazione.
“Nu se straggia ninte”, ammoniva in dialetto genovese il sindaco tramviere, il socialista duro Fulvio Cerofolini, spiegando che la svolta disegnata da un Renzo Piano, allora cinquantenne ultra rampante, partiva da quei vecchi moli, dalla loro “linea” intoccabile, dai tesori custoditi nelle strade dei re, nei palazzi Rolli che il mondo avrebbe scoperto da allora in avanti.
Geni da vecchi naviganti, scopritori, ma con la radice ben piantata in quel mare e nei caruggi sempre meno impenetrabili, geni da trafficanti, con quei nasi affilati per gli affari, geni che avevano conquistato 10 primati nella storia finanziari del mondo. Esistevano ancora? Pulsavano in una città che stava perdendo abitanti a colpi di decine di migliaia, che chiudeva fabbriche, cancellava quasi 100 mila operai dalla sua mitica forza lavoro, fatta da un esercito di tue blu, che vedeva affievolirsi la vocazione armatoriale, la sfida a far navigare per i mari del mondo le proprie “barche”.
I grandi Costa, che avevano la “C” sul fumaiolo, che incominciavano a vacillare nel loro impero di navi tra Genova e il mondo. Come poteva reggere una grande famiglia con le sue regole ataviche, una religione dinastica a confronto dei colossi mondiali?
Così nel 1977 i funerali di Angelo Costa, il capostipite, l’ex presidente della Confindustria della Ricostruzione Italiana, furono la lapide su una storia che lentamente cambiava.
Trent’anni dopo quel ‘92 che segnava il vero confine del cambiamento, i nuovi governanti del mondo capovolto dalla globalizzazione, ora già in crisi, merita un bilancio genetico. E i segnali ci sono tutti.
A partire dal nuovo potere politico che ha rovesciato oramai da oltre un lustro il leaderismo della Sinistra comunista, e postcomunista, diventata la fusione a freddo del Pd, tra quel Pci che aveva cambiato le sue maschere in Pds e Ds e la Dc, diventata Margherita, e prima Partito Popolare.
Oggi intorno a quelle banchine, a quei palazzi della cosiddetta “roccaforte rossa”, conquistata per primo da Giovanni Toti, l’ex delfino di Berlusconi, diventato governatore ligure a totale, e anche sua sorpresa, nel 2015 e oggi tutta in mano a un centro Destra sorprendente ma anche molto impreparato a ereditare quello che la Sinistra ha lasciato sul terreno, intorno a quelle banchine regna un nuovo potere, molto acerbo nella pratica politico amministrativo, voglioso di rivendicare risultati.
Siano essi l’esplosione di una vocazione turistica-culturale, impostata proprio in quel fatidico 1992, ma che offre vantaggi visibili solo ora.
Siano essi la smania quasi forsennata dei nuovi “capi” di incidere in quella città, nella quale non si “straggiava niente", con grandi opere che come un grande bisturi incidono in profondo un territorio che era fermo, immobile, sospeso tra progetti lenti, paure ambientali, calcoli politici sballati di chi temeva di perdere il consenso, per esempio facendo costruire tangenziali necessarie, dove c’erano gli orti per coltivare il basilico, l’oro verde del pesto genovese.
A capo di questa “garra” rivoluzionaria c’è l’altro potente di oggi , Marco Bucci, il sindaco che, uscito dal nulla politico, ma anche dalla sua consistenza di manager americano, ha trovato nella sciagura del crollo del ponte Morandi ( esattamente 4 anni fa) la catapulta di una cambiamento inarrestabile.
Non solo quel ponte, che ha già fatto passare sul suo nuovo percorso 46 milioni di mezzi in quattro anni esatti, costruito in 18 mesi, nella mirabilia del disegno di Renzo Piano, ancora lui e la sua matita magica, ma il seguito dirompente.
Quartieri rivoluzionati come quello storico della Fiera del Mare, diventato un cimitero e trasformato ora in una operazione kolossal di edilizia residenziale di superlusso ( già sold out) per investimenti locali, ma sopratutto lombardi di chi con lo smart working ha scoperto il mare sotto la finestra di casa, il clima dolce della Riviera, ma in una città di 550 mila abitanti.
Grandi insediamenti commerciali, come finalmente l’installazione della ESSElunga, il grande distributore che il potere postcomunista aveva tenuto fuori dai confini, privilegiando solo le Coop rosse.
Recuperi acrobatici di aree perdute della vecchia industria obsoleta e abbandonata nelle sue macerie, come quella della vecchia Mira Lanza, la fabbrica del Calimero, vecchio simbolo della comunicazione commerciale di qualche decennio fa, trasformata in un hub a più funzioni, residenziali, commerciali da tempo libero. Trasformazioni come quella del vecchio grande Mercato all’ingrosso, nel cuore del quartiere meno protetto ambientalmente di Marassi san Fruttuoso in un grande spazio per il tempo libero, le gallerie commerciali, il respiro di chi viveva nel cemento. E si potrebbe continuare.
Ma sono questi i geni vecchi che pulsano nel terzo Millennio?
No di sicuro: sono solo le nuove visioni che i vecchi amministratori avevano in qualche caso impostato e non avevano avuto la forza di lanciare e che questo nuovo corso più liberal, più burocraticamente disposto a scassarsi contro la vecchia macchina amministrativa ha perseguito testardamente, con quel sindaco “cu cria”, che grida sempre in dialetto.
Sono lo slancio di Bucci e dei suoi, spesso tetragoni a ogni impostazione ideologico politica e che hanno solo un imperativo: fare, fare, fare.
E su questo che quei geni antichi potrebbero innestarsi e rigenerarsi.
Qualche segnale incomincia a profilarsi sulla scia spumeggiante del clan Bucci. Per esempio una recentissima iniziativa con marchio d’autore che punta su Genova per lanciare le sue bellezze cultural artistiche, musei, chiese, ville, parchi, pescate finalmente dal silenzio che neppure quel 1992 della svolta aveva rotto.
Un pool di imprenditori e finanzieri di gran nome, come Paolo Clerici, grande firma dell’imprenditoria marittima, del traffico mondiale, figlio del leggendario Jack ,il primo al mondo a trafficare con la Russia di Breznev, origine genovese- britannica, affari in crescita dal 1800 , come Carlo Clavarino, nobile schiatta di super brokers e come Carlo Perrone, che a Genova vuol dire l’editore fino a poco tempo fa de “Il Secolo XIX” , la famiglia che corrispondeva a Genova agli Agnelli nel tempo in cui Ansaldo era affare di questa famiglia, una potenza industriale che ha segnato la storia.
Ed ecco allora che se questi signori “tornano”a Genova per investire in una nuova organizzazione che riscopre, o meglio rilancia, la Superba verso obiettivi che ci sono voluti trenta anni a consolidare, passando da un potere all’altro, da una trasformazione all’altra, il segnale è forte.
“Con quello che Genova ci ha dato _ ha dichiarato Perrone_ è ora il caso che restituiamo in termini di impegno e prospettive.”
E con questo quel cerchio genetico si chiude.
Ansaldo era la potenza genovese tra i secoli dell’ultimo millennio. Potenza industriale, come aveva voluto Cavour, facendo l’Italia, ma anche centrale nello sviluppo cittadino. E intorno tutto il resto della storia profonda, ancestrale, il genio di Colombo, la bandiera bianca con la croce rossa, la prima banca, il primo tasso di sconto, i soldi prestati a Carlo V, “el siglo de los genoveses”. Ora la pista è diversa, ma una delle firme di quella lunga tradizione è la stessa.