Franco Esposito
Fuggono in tanti, scappano letteralmente. La massa in uscita evoca i significati tipici della grande fuga. Chi sono i fuggiaschi e da dove fuggono? Semplicemente da Piazza Affari, che subisce un scoppola clamorosa. Qualcosa come 47 miliardi di euro persi in sette mesi. Ma si, avete letto nel più corretto dei modi: Piazza Affari è precipitata in un burrone.
La ragione del flop è presto detta: la forte crescita dal punto di vista numerico di aziende che optano per il delisting. Trecentotrentasei in venti anni contro 444 nuovi ingressi. La matematica non è mai un'opinione e i numeri dicono tutto. "Il fenomeno è di dimensioni mondiali, sarebbe sbagliato attribuirlo in esclusiva a Piazza Affari", sostengono gli esperti, che vanno creduti, senza se e senza ma. "Il fenomeno è originato in parte dall'aggressività del private equity, diventato particolarmente liquido e aggressivo alla ricerca di imprese sottovalutate".
Comunque la giri, resta il dato di fatto. Quei 47 miliardi di euro persi in sette mesi del 2022. Come conseguenza diretta del fuggi fuggi dalla Borsa italiana. Una perdita complessiva di quasi cinquanta miliardi di capitalizzazione, dovendo mettere insieme il valore delle aziende che hanno deciso di uscire dal listino.
Ultimo di una lunga serie l'annuncio di Diego Della Valle sul riacquisto delle azioni di Tod's. Tra i nomi più importanti c'è Atlantia, il colosso delle infrastrutture della famiglia Benetton. E c'è pure Exor, la holding degli Agnelli che si sposta sulla borsa di Amsterdam. Ma in materia di giganti del mondo economico bisogna considerare anche le posizioni in uscita di Autogrill e Falck Renewables. In aggiunta anche dell'A.S Roma. Citazione questa pure essa doverosa.
La fuga dalla Borsa non è in assoluto un fenomeno nuovo. A Piazza Affari, negli ultimi anni, i delisting sul listino principale sono stati 268. Il listino stesso ne ha guadagnati appena 185, a fronte del mercato non regolamentato delle Pmi, che oggi conta 174 società quotate. Piazza Affari ha visto solo 68 cancellazioni. Numeri che provengono dallo studio effettuato da Investment Bank con i riferimenti della School of Management del Politecnico di Milano. I delisting hanno causato una importante perdita di capitalizzazione per Piazza Affari.
Negli ultimi cinque anni la Borsa d'Italia si è mangiata un quasi quarto della crescita dei costi azionari. La spiegazione è reperibile nella regola non scritta che "non tutte le uscite sono uguali". C'è chi se ne va per quotarsi altrove e chi assume la decisione di andarsene perché non trova più interessante Piazza Affari.
Esistono, è vero, anche discorsi diversi. Quello di Banca Carige, per citarne uno, l'istituto di credito che sarà assorbito da Bper, e riguarda pure Cattolica, che va in Generali, e Autogrill. Quest'ultima finirà quotata in Svizzera, dopo il matrimonio con Dufry.
Le uscite sinonimo di una grande fuga, come detto, non trovano compensazione con l'ingresso in Borsa di nuove matricole. Numerose, ma mediamente di piccole dimensioni. Dall'inizio dell'anno, a Piazza Affari le uscite hanno già sfiorato i 10 miliardi di euro.
"Ma in Italia – arriva in soccorso il presidente di Ambromobiliare, Alberto Franceschini Weiss – abbiamo un elemento aggiuntivo: la mancanza di alcune categorie di investitori di lungo termine. Come le assicurazioni, che assicurano una valutazione a termine e prescindono dalle variazioni congiunturali. I fondi pensione, poi, che funzionano da cani da tartufi e vanno a caccia di imprese sottovalutate. Categorie che assicurano liquidità e mantenimento dei valori".
Gli esperti assicurano: quotarsi permette di finanziare le società, ma obbliga alla condivisione con informazioni sensibili. E all'esposizione conseguente di "scalate ostili", in un sistema imprenditoriale caratterizzato da aziende a controllo familiare. "Quotarsi in Borsa non è mai stato particolarmente di moda".
Piazza Affari vale meno della metà del Pil nazionale, contro il 62% della Borsa tedesca, il 12.8% di quella francese e il 14,3% della olandese. L'effetto è che a Piazza Affari lo Stato diventa sempre più centrale. Direttamente o indirettamente, il Ministero dell'Economia ha un piede in otto società tra le venti più ricche del listino Fise Mib. E la situazione è destinata a peggiorare. Il fuggi fuggi da Piazza Affari potrebbe assumere dimensioni bibliche.