di Fulvio Abbate
Il Ponte sullo Stretto di Messina è l'alfa è l'omega di ogni sogno magico elettorale. Promessa, miraggio, pura seduzione ingegneristica, sia pure in assenza del manufatto stesso. Opera gigantesca, ciclopica che, seppure mai finora pervenuta allo sguardo e al pedaggio dei suoi possibili utenti, comunque presente come oggetto concreto dell'assoluto appunto ingegneristico, visibile addirittura a occhio nudo fin da ora.
L'immensa forza del Ponte sullo Stretto di Messina risiede infatti per intero nella sua inesistenza, nell'attesa che l'opera finalmente si compia, di più, che non abbia mai concretezza. Semplice promessa che mai sarà mantenuta. Promessa che mai verrà, si compirà. Per non spezzarne il sogno. Promessa clientelare, se non addirittura "poetica". Non c'è stagione del tempo preistorico e successivo, a cominciare dai giorni delle palafitte, che non si sollevi la voce di qualcuno a prometterne l'imminente realizzazione. Al punto che il nostro ponte sembra già di vederlo lì, idealmente, sebbene ancora in forma puntinata come nel disegno virtuale, immateriale eppure concreta, invisibile ciononostante già issato al suo posto. Ora in nome di una promessa meridionalistica, la stessa che finalmente sollevi la Sicilia dalla sua distanza dal "Continente", così come figurava scritto sulle buche delle lettere un tempo a Palermo.
Il Ponte sullo Stretto è dunque una figura ciclopica dormiente, sta lì "in sonno", come certi massoni nei momenti politicamente tribolati, tuttavia pronto a essere evocato, suggerito, promessa garantita da chi voglia farsi garante appunto del conforto clientelare, fiabesco, implicita rassicurazione perfino alla mafia che, oltre a uccidere, incaprettare, trafugare tele di Caravaggio, altrettanto attende sulla riva di Ganzirri o di Scilla di mettere "le mani sulla città", la città del Ponte". Quel Ponte che certamente un giorno avrà anche la sua "gomma", giusto per citare una pubblicità un tempo invogliante. Il ponte sullo Stretto di Messina può in questo senso, utopicamente, rivaleggiare con le grandi costruzioni non meno utopiche degli architetti utopisti della rivoluzione francese, si ha così quasi la sensazione che Silvio Berlusconi, lo stesso che in questi giorni ne ha opportunamente, magicamente, prevedibilmente risvegliato l'immagine dormiente per fini elettoralistici, Ponte addormentato nel bosco delle suggestioni, segua questo immaginario storico. Dunque, non sembri un raffronto ingiurioso, l'Uomo di Arcore va altrettanto scorto in questo caso prossimo a Adolf Hitler che, rivolgendosi al suo architetto di fiducia, Albert Speer, ebbe a pronunciare questa frase: "Voglio un'architettura che sia bella anche da distrutta". Nel nostro caso, parlando del Ponte, si tratterà di un'architettura che esista nella sua improbabile futura esistenza. Speer, lo diciamo per completezza, ebbe anche l'incarico di ministro per gli Armamenti del Reich millenario. Anche il Ponte sullo Stretto, nella sua semplice evocazione, è un'arma ritenuta di sicura presa, altrimenti non si comprenderebbe, soprattutto immaginando i tempi di realizzazione, come lo si possa offrire, quasi chiavi in mano, al momento opportuno della chiamata al voto, la croce da apporre sul contrassegno elettorale. Forza Italia, forza Sicilia, Forza Ponte, e forza ancora mondo dei sogni. In cima al Colosseo Quadrato dell'Urbe, dove sia accenna a un popolo di poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori occorrerebbe quindi aggiungere l'altrettanto significativa qualifica nazionale, epica, di costruttori di ponti, come quello sul quale l'eroina romana Clelia si volle battere contro il nemico etrusco; meglio, evocatori di ponti e segnatamente, mi raccomando, sullo Stretto. C'è qualcosa di improbabile, paradossale e insieme favoloso nella promessa del nostro Berlusconi, del "mostro" Ponte, esattamente un po' come nelle garanzie d'amore non mantenute, mai confermate dall'arrivo dei primi plinti e tra Messina, città che stregò Nietzsche, e Villa San Giovanni; ma, cosa nota, si vive di promesse, di illusioni.
Concretezza di un progetto fantasmatico: si farà non si farà, certo che si farà, non vedi che hanno già iniziato a saggiare i punti esatti per la campata? Non vedete che esiste addirittura un non meno dormiente apposito ente al Ponte dedicato? Perfino Plinio il Vecchio racconta della sua costruzione, nel 251 a. C., un ponte fatto di barche e botti per trasportare dalla Sicilia 140 elefanti da guerra catturati ai cartaginesi nella prima guerra punica. Nei secoli, non c'è politico che non abbia mostrato in palmo di mano il ponte invisibile, osanna dunque all'estroso Berlusconi, artista, illusionista: il Mandrake del Ponte. Se il mago David Copperfield la sera dell'8 aprile 1983 riuscì a far sparire la Statua della Libertà dalla baia di Manhattan, altrettanto il mago Silvio Berlusconi saprà invece mostrare d'improvviso l'opera già presente, si chiama talento, si chiama prestidigitazione politica.
Non sarà neppure necessario procrastinare, trovare sofismi, traccheggiare, basterà semmai dire: non vedete che è già lì? E all'ulteriore domanda degli scettici, di chi, infame, dovesse chiedere quanto tempo invece occorrerà per averlo davvero, controbattere con parole già testate. In questa storia la verità non ha valore. Neppure necessario mostra la maquette dell'opera finale, magari da Bruno Vespa per il delitto di Cogne. Berlusconi o chi per lui dunque come i già evocati architetti illuministi della rivoluzione francese che imbastirono costruzioni immense e visionarie, Étienne-Louis Boullée che voleva il "Cenotafio di Newton" e, in subordine, a Claude-Nicolas Ledoux; chi ha visto il film "Il ventre dell'architetto" di Peter Greenaway capirà di cosa stiamo parlando. Il Ponte c'è.