di Fabio Martini
A questo punto soltanto il centrodestra può fermare il centrodestra? Un dubbio che non è ancora entrato nella discussione pubblica e tuttavia serpeggia nei concitati preliminari di questa campagna elettorale. Il dubbio per ora è restato sotto traccia, ma è alimentato da alcuni segnali, “scritti” in sondaggi che restano riservati.
La principale ragione che potrebbe insidiare la marcia trionfale del centrodestra ha un nome: concorrenza. Concorrenza interna, tra alleati. Certo legittima, ma insidiosa se esercitata in modo “selvaggio” da parte chi pensa di aver già vinto e dunque ritiene di potersi concedere qualche incursione tra gli elettori “comuni”. Da settimane, da parte dei “punti vendita” più piccoli del centrodestra, Lega e Forza Italia, si ripropone una campagna a tutto volume, con l’offerta di prodotti allettanti, ma a buon mercato. Un’offerta che può garantire qualche piccolo e legittimo incasso a chi lo propone ma ad un costo alto: ridurre l’appeal dell’offerta dell’intera “catena distributiva” del centrodestra.
È un sospetto coltivato non soltanto nel quartier generale di Giorgia Meloni: le ultime sortite di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi – sui migranti, su Mattarella, sulle assoluzioni – studiate e lanciate per riconquistare elettori per le insegne di partito, hanno un tratto comune: finiscono per alimentare l’idea di uno schieramento nel suo complesso destabilizzato. Ma esattamente questa è l’unica, vera partita che il Pd alla fine si giocherà sull’elettorato flottante: cari italiani, se vi affidate alla destra, metterete a rischio il vostro futuro, un futuro già in pericolo per le malattie, le guerre, l’inflazione, tutte insidie che hanno bisogno di certezze, non di ulteriori ansie. E tantomeno di strappi con l’Europa.
Certo, le intenzioni di voto al momento non sembrano lasciare spazio a dubbi. Gli istituti di sondaggio più seri indicano un vantaggio per il centrodestra che si attesta sui 15-16 punti, un distacco quasi incolmabile. I sondaggi convergono anche nella definizione dei pesi interni alla coalizione: i Fratelli d’Italia raccolgono una percentuale (22-23 per cento), pari alla somma degli altri due alleati. Un rapporto di forza mai registrato nel corso della Seconda Repubblica, men che mai quattro anni fa, quando la somma delle percentuali di Lega e Forza Italia (31 per cento) era sette volte superiore a quella del partito della Meloni (4,4 per cento).
Tutte le intenzioni di voto attribuiscono a Forza Italia una percentuale ad una cifra, talora più vicina al 5 che al 10 per cento. La Lega per ora non soltanto è lontana anni luce dal 34,3 per cento delle Europee, ma si attesta anche al di sotto del 17,3 delle Politiche del 2018. Davanti a numeri così scoraggianti, nei giorni scorsi il leader della Lega è sbarcato a Lampedusa, alla “caccia” di migranti. Un modo per risvegliare un’ostilità mai sopita in una parte di popolazione italiana. Mai sopita ma temporaneamente rimossa, sovrastata da altre preoccupazioni, più immediate. Silvio Berlusconi, da parte sua, non si è limitato a cavalcare la battaglia del presidenzialismo ma ci ha aggiunto un argomento destabilizzante: le possibili dimissioni del Capo dello Stato. E ha ripreso la sua battaglia sulla giustizia, con una proposta sulle assoluzioni che, al di là della ovvia sostenibilità, allude ad un “tana libera tutti”, che piace ad una parte del suo elettorato ma rischia, una volta ancora, di intaccare il monte-consensi della sua coalizione.
Dalle rilevazioni riservate di uno dei due principali istituti di sondaggi, dopo l’escursione a Lampedusa la Lega ha recuperato un punto, ma nonostante questo progresso, nel suo complesso il centrodestra va indietro. Dunque, sale uno dei tre partner ma a un costo caro: la squadra arretra. Per ora non c’è stato il tempo di testare le ultime sortite berlusconiane, ma è possibile che la farraginosa retromarcia sulla richiesta di dimissioni per Mattarella, finisca per alimentare il sospetto che gli avversari cavalcheranno: "Attenti a quei tre, con loro rischiamo il caos…", che è esattamente la parola usata da Carlo Calenda.
Certo, gli avversari del centrodestra soffiano sul fuoco dell'allarmismo e in ogni caso non è affatto detto che il Pd saprà alimentarlo, toccando i tasti “giusti”. Ma per il momento tutti i partiti faticano a imparare la lezione suggerita da Alessandra Ghisleri di Euromedia Research, uno degli istituti di sondaggi che notoriamente fanno tendenza: "La pandemia, la guerra, l’inflazione incoraggiano una grande insofferenza per le narrazioni generiche e invece cresce un gran bisogno di concretezza, di misure ben dettagliate. Mi devi spiegare come vuoi fare quella legge, da dove prendi i soldi per non fare salire il debito".