di Enrico Pirondini
Elezioni a settembre, votare o non votare? Questo è il dilemma degli italiani. Tutti i sondaggi concordano: la disaffezione alle urne aumenta.
L’astensione corre verso un nuovo record. Calma. Proprio l’esito incerto può spingere molti ad andare al voto. Questo almeno è l’opinione di Salvatore Vassallo, direttore del prestigioso Istituto Cattaneo di Bologna. Il Cattaneo dal 1965 si occupa di sudi politici, sociali, culturali ed economici e che ha sempre avuto presidenti dal notevole credito come il politologo Giorgio Galli, l’ex ministro della difesa Arturo Parisi (secondo governo Prodi). Luigi Pedrazzi (la voce del pensiero politico cattolico del centro-sinistra) e l’attuale eurodeputata Elisabetta Gualmini, professoressa ordinaria di Scienze Politiche presso l'Università di Bologna. In sintesi: i Millenials sono i meno interessati, i professionisti cinquantenni latitano, le città medie superano in democrazia le metropoli.
CROLLO DI PARTECIPAZIONE ALLE ELEZIONI NEGLI ULTIMI 10 ANNI - Per due motivi: primo il rigetto, la sensazione di distanza dalla sfera pubblica. Lorsignori pensano solo agli affari loro. Altroché i cittadini, “l’interesse del Paese”, il “bene comune”. Secondo, le cose non cambieranno; dunque non è necessario esprimere il dissenso. Avanti così. Le ultime ricerche offrono un dato che a molti suonerà sorprendente. Lo conferma il Cattaneo: soprattutto nelle grandi città i cittadini non sono anti-establishment.
MA LA GENERAZIONE Z ANDRÀ A VOTARE ALLE ELEZIONI - I cosiddetti “post Millenials” – i nati alla fine degli anni Novanta – hanno un interesse superiore rispetto alla generazione precedente. Quella cioè che ha fatto crollare i dati alle ultime tornate. Se la previsione sarà centrata potrebbero essere loro i protagonisti (inattesi) delle votazioni del 25 settembre.
La Generazione Z – sono i figli della Generazione X (1965-1980),figli degli ultimi “Baby boomers”, quelli cioè nati durante il periodo della esplosione demografica (1946-1964) – la Generazione Z, dicevamo, si è già fatta sentire bocciando l’alleanza Letta-Calenda (“Ci hanno voltato le spalle “). Lo hanno detto alla Festa del’Unità alle Terme Caracalla, a Roma. E giù unghiate per la Gelmini e Carfagna. Non tira una buona aria.
ASTENSIONISMO, FENOMENO EUROPEO - La disaffezione per le urne non è solo un fatto italiano. No. È europeo. La Francia ad esempio: alle legislative di domenica 12 giugno ha votato solo il 47,5% degli aventi diritto. Poca roba. In Italia l’astensionismo alle elezioni politiche è andato di male in peggio.
Dal 1953 (astenuti solo il 6,16%) è stato uno scivolone continuo culminato nelle due ultime elezioni politiche: nel 2013 non ha votato il 24,8%; nel 2018 il 27,07%. I motivi? Sono tanti. Due su tutti: crisi dei partiti e il peso della demografia. Il tracollo dei partiti della Prima Repubblica hanno prodotto un calo di fiducia che nessun schieramento oggi è in grado di colmare.
La graduale scomparsa degli anziani (per i quali partecipare era addirittura un dovere) ha fatto il resto. Se i partiti soprattutto non recupereranno la perduta credibilità, l’astensionismo inevitabilmente crescerà. La delusione dei cittadini è evidente e grave. Improbabile un sussulto di partecipazione. Gli italiani si sono seduti. Siamo al tramonto dell’epoca democratica.