di Ottorino Gurgo
L'esperienza insegna quanta verità ci sia nei proverbi e, tra questi, quello secondo cui è bene non vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso sembra adattarsi al momento preelettorale che stiamo vivendo.
Così non azzarderemo pronostici sull'esito delle elezioni del prossimo 25 settembre ma, in attesa dei reali risultati della consultazione, il cronista non può fare altro che affidarsi ai "se" e, dunque, se dalle urne dovessero uscire confermati i dati che scaturiscono dai sondaggi, si dovrebbe convenire che a vincere è la coalizione di centrodestra ed in particolare Giorgia Meloni e ad essere sconfitto sarebbe, soprattutto, il segretario del Pd Enrico Letta che subirebbe, in tal modo, una duplice sconfitta in quanto con molte probabilità all'insuccesso elettorale seguirebbe una contestazione all'interno del partito.
Non da oggi, del resto, una parte abbastanza consistente dei "democratici" non ha nascosto le proprie perplessità sulla linea seguita e già ora, nei palazzi romani della politica ci si domanda se Letta potrà continuare a restare al suo posto in caso di sconfitta.
Non si tratta di aprire un processo nei suoi confronti, ma è pur vero che il percorso seguito dal Pd di Letta non è stato particolarmente brillante. Il Pd è apparso, infatti, privo di una sua identità.
Letta ha assunto la guida del partito, dopo la non troppo felice esperienza di Nicola Zingaretti, con un obiettivo preciso, proprio quello di ridare una precisa identità al Pd, possibilmente riassorbendo la diaspora che si era determinata con l’allontanamento di personaggi come Matteo Renzi da una parte e Pierluigi Bersani dall’altra.
Non è riuscito nell’intento. E ciò perché Letta ha scelto la strada che ha ritenuto più “comoda”, quella cioè di allearsi con Giuseppe Conte e con i cinquestelle che,forti del rilevante successo ottenuto nelle elezioni del 2018, avrebbero potuto garantirgli una maggioranza in grado di tenere a bada la destra di Berlusconi, Meloni e Salvini.
Ma è stato, quello di Letta, un atto di “miopia politica” che non ha tenuto conto di un dato di fondamentale importanza, vale a dire l’assoluta inaffidabilità dei penta stellati, tra l’altro lacerati da una crisi profonda, sfociata nella scissione di Luigi Di Maio e pronti a qualsiasi giravolta dopo essersi resi conto che il successo del 2018 è ormai, per loro, soltanto un lontano ricordo. Senza contare la sfrenata ambizione del suo leader Conte, divorato dal desiderio di “vendicarsi” di Mario Draghi, considerato una sorta di usurpatore che aveva occupato il suo posto a Palazzo Chigi.
Così le elezioni anticipate hanno trovato Letta del tutto impreparato ad affrontarle, a differenza della sua “rivale” Giorgia Meloni che, lavorando con grande determinazione, ha conquistato la leadership della destra, scavalcando nettamente Salvini.
Se, dunque, le previsioni della vigilia dovessero essere confermate il prossimo 25 settembre, sarà inevitabile un nuovo assetto di vertice del Pd e, come abbiamo detto, già si sussurra il nome del successore dell’attuale segretario.
Si tratta di Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia Romagna, unanimemente considerato come un leader efficiente e, soprattutto gradito a tutte le componenti del partito.
Siamo ancora, ovviamente, a livello di ipotesi, ma forse non è soltanto casuale il fatto che, nella sede del Pd si parli di Bonaccini con tanta insistenza.
Ottorino Gurgo