di Pietro Salvatori
Se il Meeting di Rimini fosse veramente il barometro della politica che si affaccia sull'autunno, come spesso lo si ritiene, la sceneggiatura andata in scena ieri sarebbe la cartina tornasole di quel che succederà il 25 settembre. La kermesse di Comunione e liberazione accoglie i leader di tutti i partiti nella sala più grande della Fiera di Rimini. L'affluenza in sala è quello che è, l'organizzazione a qualche minuto dall'inizio decide di spostare una serie di pannelli poco oltre la metà dell'auditorium per non regalare dal palco la non felice immagine di una distesa di sedie vuote.
Sul palco tutti i leader o giù di lì. Escludendo il leader di Noi moderati, che da queste parti è padrone di casa e fa storia a sé, l'applausometro pende fortissimamente in direzione di Giorgia Meloni, accolta al suo annuncio con una vera e propria ovazione. E dire che da queste parti Matteo Salvini non è affatto sgradito, Antonio Tajani in teoria dovrebbe essere il più vicino alla sensibilità "popolare" dell'uditorio. Addirittura Enrico Letta ha presieduto l'intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà animato da sempre da esponenti ciellini, da queste parti è uno di quelli considerati "amici del Meeting", diciassette partecipazioni all'attivo, compresa quella in veste di presidente del Consiglio, la quarta consecutiva.
E insomma Meloni, per la prima volta sul palco della manifestazione, accolta dal boato, tiepidezza nei confronti di Salvini e Tajani, quasi al pari di Luigi Di Maio, perché a Rimini un applauso non si nega mai a nessuno, il segretario del Pd addirittura fischiato quando propone l'obbligatorietà dell'istruzione dalla scuola d'infanzia alla maturità. C'è il codazzo delle solite polemiche, con Giuseppe Conte che pubblica la foto in cui i leader sono seduti al tavolino di un bar per concordare le regole d'ingaggio con il moderatore, il direttore del Corriere della Sera, alludendo all'inciucio e denunciando l'esclusione del Movimento 5 stelle, con chi biasima la platea di Cl per l'essersi schierata sempre con il più forte. Rimane il fatto che la sala era mezza vuota e che le mani per Meloni si sono spellate, un vaticinio tra astensionismo e vittoria della destra su come potrà andare alle urne.
La leader di Fratelli d'Italia vince quasi per inerzia, Salvini non scalda più di tanto nemmeno quando, un tau in bella vista tra i lembi della camicia sbottonata, sfodera un repertorio che dovrebbe essere gradito da quelle parti: "Io sto dalla parte della vita, anche se mi consigliano di non affrontare certi temi perché perdo voti, ma ci sono valori non negoziabili: sostegno della vita dall'inizio alla fine". E ancora: "La droga, qualunque tipo, è morte". Niente da fare. La star è Meloni, gli altri un po' a giocare in difesa un po' a inseguire. Ma nella giornata della leader della destra non sono tutte rose e fiori. A via della Scrofa, dove ha sede il partito, sono partiti tutti i possibili campanelli d'allarme quando hanno letto i lanci di agenzia del segretario del Carroccio.
È l'ennesima dichiarazione volta ad allentare la pressione sulla Russia di Putin: "Le sanzioni colpiscono di più chi le fa, mentre avvantaggiano chi le subisce, allora alimentano la guerra anziché favorire la pace". Peccato che Meloni si veda già a Palazzo Chigi, e che dunque in qualche modo si senta già in dovere di ribadire che la linea atlantista del nostro paese non potrà cambiare, con tutto il corredo di aiuti umanitari, economici e anche militari che verranno concordati nell'ambito delle alleanze internazionali. È un bel problema. Meloni prima rinvia un punto stampa lì al Meeting, poi lo annulla definitivamente per non rovinarsi quella che per lei è una bella giornata, che ha previsto nel pomeriggio anche l'inaugurazione della campagna elettorale nelle vicine Marche.
Un suo fedelissimo inquadra così la questione: "Il 26 avremo subito un problema, per la Lega risolvere il caro bollette equivale a mollare l'Ucraina al proprio destino, ma mi sa che hanno capito proprio male". Salvini evita il più possibile di toccare l'argomento in campagna elettorale, ma Meloni e i suoi sanno che è lo stesso Salvini che fino a qualche settimana fa incontrava in segreto l'ambasciatore russo per organizzare un viaggio a Mosca. Per Meloni, l'orizzonte è quello tracciato ieri da Mario Draghi: "L'Italia ha sempre condannato l'occupazione della Crimea: la lotta per la Crimea è parte della lotta per liberare l'Ucraina". Per capire, ecco quello che diceva Salvini dopo la consultazione imposta nella regione dalle forze di occupazione russe: "Chi non riconosce la validità del referendum in Crimea va contro i trattati. Quando i popoli decidono è una buona notizia".
Più che le magliette col faccione del tiranno sono queste le posizioni, mai smentite né mai ritrattate, che preoccupano Meloni e i suoi. Nel quartier generale del partito Salvini è considerato inaffidabile a tal punto che i dubbi sul lasciargli strada libera per il Viminale continuano a rimbalzare giorno dopo giorno: "Ma se Giorgia diventa davvero premier sarà difficile negarglielo". Di certo c'è che forse su null'altro come sulla politica estera il centrodestra si presenta diviso davanti agli elettori. Forse anche per questo cerca di parlarne il meno possibile.