di Claudio Paudice
Tra mosse e contromosse, con l'inverno sempre più vicino, lo scontro energetico tra Mosca e Bruxelles entra nel vivo. La Russia ha fatto sapere che non accetterà alcuna forma di price cap, interrompendo immediatamente le forniture verso tutti coloro che lo adotteranno. L'avvertimento è rivolto ai Paesi del G7 che venerdì discuteranno la possibilità di introdurre un tetto al prezzo del petrolio russo. Ma il discorso si può tranquillamente estendere anche al gas nel giorno in cui la Commissione Europea ha annunciato che il prossimo 14 settembre saranno avanzate diverse proposte dalla presidente Ursula von der Leyen, nel corso del dibattito sullo Stato dell'Unione alla plenaria dell'Europarlamento di Strasburgo, dopo un primo confronto a livello comunitario al vertice d'emergenza dei ministri per l'Energia di venerdì prossimo: "Stiamo analizzando a livello tecnico la questione di imporre un tetto al prezzo, valutando attentamente tutte le possibilità", ha fatto sapere Bruxelles.
Mentre l'Ue sono in corso valutazioni, Mosca fa una prima mossa: "I tentativi di interferire con i meccanismi di mercato in un settore così importante porteranno alla sua destabilizzazione e minacceranno l'intero mercato petrolifero che, a sua volta, potrebbe portare a una catastrofe nel campo della sicurezza energetica in tutto il mondo", ha detto il vice primo ministro russo, Alexander Novak. "Semplicemente non forniremo il nostro petrolio e i nostri prodotti petroliferi a società o Paesi che imporranno restrizioni", ha aggiunto. Mercoledì la segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, si è detta "ottimista" sulla possibilità di un accordo per fissare un limite di prezzo alle esportazioni di petrolio russe.
Nell'ambito del sesto pacchetto di sanzioni, l'Unione Europea ha adottato l'embargo sul greggio di Mosca che entrerà in vigore per quello trasportato via mare entro la fine del 2022, mentre quello sui prodotti derivati come diesel, benzina, cherosene e via dicendo scatterà a partire da febbraio 2023. Dall'adozione dell'embargo, le grandi aziende degli Stati membri stanno perciò uscendo gradualmente dal petrolio russo (tranne l'Italia a causa della raffineria di Priolo di proprietà della Lukoil), anche se continua ad arrivare sia via attraverso gli acquisti diretti ancora consentiti sia attraverso triangolazioni commerciali. È il caso dell'India che sta acquistando ingenti quantità di barili di Mosca: secondo i dati di Kpler, gli arrivi di petrolio russo in India a maggio sono stati di 740.000 barili al giorno, rispetto ai 284.000 di aprile, ma soprattutto contro i 34.000 di media dell'anno precedente. Una parte di questi barili, secondo le stime di Petrologistics, viene lavorata dalle raffinerie indiane e poi rivenduta ai clienti europei, che così continuano ad alimentare, indirettamente, le esportazioni energetiche di Mosca.
L'Ue è ora concentrata sul tetto al prezzo del gas che, com'è noto, sta facendo lievitare anche i costi dell'energia elettrica. La minaccia arrivata da Mosca sul price cap al petrolio riduce fortemente le possibilità che Bruxelles ne introduca uno analogo sul metano. Il Cremlino ha chiarito che non accetterà nessuna manipolazione del prezzo da parte degli acquirenti, piuttosto sarà lei a bloccare per prima le forniture. Vale per il greggio, vale soprattutto per il gas dal quale l'Ue è molto più dipendente.
L'Ue ha quindi accelerato il riempimento degli stoccaggi superando in molti Paesi il livello dell'80%. Grazie al ritmo spedito, negli ultimi giorni i flussi di iniezione negli impianti sotterranei è calato, facendo scendere così anche il prezzo del metano che sulla piazza Ttf di Amsterdam ha chiuso intorno ai 250 euro per megawattora, livello lontano dai 339 euro per megawattora della scorsa settimana. Ma comunque alto. Bisogna intervenire alla svelta, perché l'inflazione energetica ormai si è ampiamente trasmessa a una gran quantità dei beni di consumo, a partire da quelli che compongono il carrello della spesa. Tenuta sociale e competitività industriale sono fortemente minacciate dalle bollette. Di qui l'idea più accreditata a Bruxelles: per frenare gli effetti dei prezzi del metano, l'Unione Europea sta ora valutando di intervenire con un price cap sull'energia prodotta da tutte le altre fonti escluso il gas. Potrebbe sembrare un paradosso, ma non lo è affatto. Anzi: si tratta della prima vera contromossa - forse un po' tardiva - nella guerra economica tra Bruxelles e Mosca condotta con le armi a loro disposizione: la prima con la valuta (dollaro ed euro) e i beni tecnologici, la seconda con l'energia.
Perché non è un paradosso? Il mercato energetico europeo si basa sul sistema del prezzo marginale: detta in soldoni, la fonte più costosa utilizzata per la produzione di elettricità fa il prezzo finale di tutta l'energia, anche quella prodotta con fonti meno costose o ampiamente ammortizzate come le rinnovabili (costi fissi elevati, costi marginali bassissimi), idroelettrico, geotermico e via dicendo. Un produttore di un impianto eolico, attualmente, riceve la stessa remunerazione sul mercato elettrico di chi produce con una centrale a gas, che costa oggi un occhio della testa, a parità di energia prodotta. L'idea che va per la maggiore è di fissare perciò un tetto al prezzo dell'energia elettrica prodotta da fonti diverse dal gas per ricavarne risorse con cui ammortizzare i costi delle bollette. Sarebbe questo, secondo indiscrezioni da Bruxelles, il punto centrale della proposta contenuta in un documento non ufficiale, un cosiddetto 'non paper', che la Commissione Ue intenderebbe presentare già ai ministri dell'energia dei Ventisette, il 9 settembre.
Le incognite non mancano: i timori europei ruotano intorno al rischio che rendendo meno profittevole produrre da fonti alternative al metano si potrebbe rallentare la transizione ecologica. Il tetto al prezzo va inoltre calibrato attentamente perché se fosse sproporzionato potrebbe spingere i produttori di energia, in un momento in cui si registrano utili stellari, a non piazzare offerte, alimentando ulteriori stress sul mercato e rafforzando implicitamente la posizione della Russia che ha dalla sua la manopola del gas.
Ancora molti in Ue temono che possa chiuderla oppure non riaprirla. L'Ungheria, ad esempio, ha siglato un contratto con Gazprom per la fornitura di massimo 5,8 milioni di metri cubi circa di gas naturale in più su base giornaliera, in aggiunta alla quantità contrattuale già in essere, per "mettere al sicuro gli approvvigionamenti del Paese". La Bulgaria invece è ancora in attesa di una risposta dal monopolista del metano dopo il blocco delle forniture deciso dai russi seguito al rifiuto di Sofia di pagare in rubli. Il governo in carica è dovuto tornare sui suoi passi, perché dei tre miliardi di metri cubi di gas stabiliti dal contratto con Gazprom ne ha ricevuto solo uno, e ha chiesto alla sua controparte di sedersi a un tavolo per l'estensione dell'accordo in essere - quindi non un nuovo contratto - e la ripresa dei flussi. Che pagherà in rubli, a costo di mettere fideiussioni assicurative sui pagamenti, perché non ne può fare a meno. Attualmente il Paese, che dipende da Mosca per il 90%, dispone di forniture garantite da Grecia e Turchia solo fino alla fine di settembre.
Ma il caso emblematico è la Germania che si è vista gradualmente ridurre per ragioni politiche le forniture via Nord Stream, portate al 20% della sua capacità totale (un quinto degli oltre 160 milioni di metri cubi giornalieri). Da mercoledì il tubo è chiuso per esigenze di manutenzione ma Gazprom continua a lanciare velate minacce, facendo intendere che potrebbe non riaprirlo. "Non è possibile eseguire una manutenzione rilevante delle apparecchiature del Nord Stream 1 a causa delle sanzioni occidentali", ha affermato il ceo del colosso energetico, Alexei Miller, nel primo giorno dell'annunciato stop per lavori di manutenzione al gasdotto. Miller ha poi sottolineato che per lo stesso motivo Siemens Energy non è in grado di svolgere la regolare manutenzione del Nord Stream. In inverno il prezzo del metano potrebbe anche raggiungere il costo record di quattro dollari al metro cubo.
Per il Cremlino sono le sanzioni a impedire a Gazprom di fornire il gas all'Europa: "Sono all'origine della crisi", ha detto il portavoce di Putin. Da inizio anno la produzione del monopolista russo è calata del 14,6% e l'export di oltre il 37%. Ma la minore offerta, ovvero il timore di una carenza, ha innescato una corsa dei prezzi fino alla soglia record di 339 euro per megawattora della scorsa settimana, ingrassando gli utili di Gazprom che ha incassato 42 miliardi nel primo semestre e pagherà agli azionisti, tra cui il Cremlino, il primo dividendo della sua storia.
I Paesi europei, in particolare Germania e Italia che dispongono degli stoccaggi più ampi del continente, hanno accelerato portandoli oltre l'80% con largo anticipo ma contribuendo così indirettamente all'aumento del prezzo. Da qualche giorno, con il target del riempimento a un palmo, il ritmo è rallentato, facendo calare anche il costo del metano. Il raggiungimento degli obiettivi di stock però non deve rassicurare troppo. Almeno secondo Mosca: se i grandi Paesi europei dovessero riuscire a portare le proprie scorte di gas "vicine al massimo livello" consentito dagli stoccaggi questo "non garantisce di superare la stagione dell'autunno-inverno in modo affidabile", ha comunicato Gazprom. La Germania, tra l'1 di ottobre e il 31 di marzo dello scorso anno, ha consumato 57 miliardi di metri cubi di gas, pari a 9,5 miliardi al mese. I livelli attuali delle scorte, pari all'84% degli stoccaggi e a 18,3 miliardi di metri cubi, "sono attualmente comparabili al consumo medio di due mesi su sei" nella stagione invernale.
I dati danno ragione a Gazprom: senza una riduzione dei consumi, cioè i razionamenti, anche con le riserve piene difficilmente gli Stati Ue uscirebbero indenni dalla stagione fredda. Molte capitali come Berlino e Parigi hanno già adottato piani di razionamento, l'Italia lo sta facendo ora (leggi qui Giuseppe Colombo). Secondo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, se Mosca chiude il gas si spegne un quinto dell'industria italiana. Il Governo Draghi sta perciò approntando un piano di risparmio che passa prima dalle famiglie con l'abbassamento di un grado e l'entrata in funzione un'ora più tardi dei termosifoni e successivamente dalle imprese con bonus elettricità per quelle più energivore e con l'attivazione del servizio di interrompibilità in caso di scenario avverso.
Ma a Roma come a Berlino e a Bruxelles sanno che bisognerà tagliare i consumi, domestici e delle aziende. "Nell'intervento di emergenza" annunciato da von der Leyen "dovremo considerare anche la questione della riduzione dei consumi dell'elettricità, oltre a quelli del gas", hanno anticipato dalla Commissione. Ora "è prematuro ora dire cosa verrà proposto" ma "con la crisi dell'elettricità dobbiamo tenere in considerazione qualsiasi cosa sia legata alla domanda". E cioè ricorrere al razionamento, un'altra delle armi, per quanto deleteria, a disposizione dell'Ue nella guerra economica contro Vladimir Putin.