di Giuseppe Colombo
A palazzo Chigi e al ministero dell'Economia lo chiamano ampliamento. Quello della tassa sugli extraprofitti delle società energetiche, l'intervento su cui Mario Draghi ha costruito una parte importante della strategia contro il caro bollette. È molto di più di una copertura finanziaria. È una scelta politica con un carattere sociale definito: la crisi la pagano tutti, ma c'è chi la sta pagando di più. C'è anche chi ha tratto un vantaggio dai prezzi record del gas e quindi tocca a loro dare un contributo per aiutare chi è più in difficoltà. Il bonus da 200 euro per i lavoratori e i pensionati con redditi sotto i 35mila euro è stato finanziato proprio tassando di più le società che producono gas ed energia elettrica. Non solo i colossi che producono, ma anche i rivenditori. Il nuovo intervento in cantiere - un ampliamento ulteriore della tassa - conferma la linea di Draghi. Ma apre anche una questione: chi saranno i destinatari dell'ampliamento? Se la mossa riuscirà - il che non è affatto scontato visto il bottino fallimentare dell'acconto di fine giugno - i soldi in più vanno destinati esclusivamente alle imprese o bisogna dare un segnale anche alle famiglie?
Fino ad ora i 50 miliardi di aiuti stanziati hanno fatto pendere la bilancia più dal lato delle famiglie: l'allargamento del bonus sociale per le bollette, il taglio delle stesse fatture, ma anche il bonus una tantum da 200 euro e la riduzione delle tasse nelle buste paga dei lavoratori e in quelle dei cedolini dei pensionati con redditi medio-bassi. Ma il prezzo del gas scambiato sul mercato europeo del Ttf è schizzato ad agosto fino a sopra i 330 euro per megawattora. Il risultato è un disallineamento tra l'ultimo intervento e il costo della crisi. Significa che la coperta degli aiuti si è fatta più corta nonostante l'ultimo sforzo sia arrivato fino a 15 miliardi. Le bollette di ottobre potrebbero addirittura raddoppiare. Ma intanto è cresciuta anche la sofferenza delle imprese. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi lo chiama "terremoto economico", con effetti devastanti che hanno l'annuncio dell'effetto, cioè "mettere a rischio il sistema industriale italiano".
Di fronte a questo scenario a Draghi non basta puntare sull'Europa. Il tetto al prezzo del gas e gli interventi sul mercato elettrico possono risolvere solo una parte del problema. Innanzitutto le soluzioni bisogna portarle a termine. E nei tempi giusti. La proposta della Commissione europea arriverà il 14 settembre, dopo settimane di approfondimenti e rinvii, ancora dopo settimane funeste sui mercati energetici. Non è proprio un buon punto di partenza. C'è anche bisogno di potenziare la strategia nazionale, come stanno facendo altri Paesi. La Spagna ha abbassato l'Iva sul gas dal 21% al 5% fino a dicembre, Macron ha messo un tetto alle bollette dei francesi, la Germania è partita con un razionamento dei consumi importante. Non è un caso se la lista delle richieste degli industriali italiani va ben oltre il price cap.
A tirare fuori il governo dalle ambasce saranno i pacchetti di energia scontati per le imprese. Gas ed elettricità che sono stati già acquistati dallo Stato o che saranno coperti con nuova spesa pubblica nel caso del metano. Al di là delle tecnicalità comunque un aiuto che arriverà a stretto giro, entro la metà del mese. Ma l'energia scontata non basta per tutti e la lista del fabbisogno che Confindustria ha consegnato al governo è lunghissima. Bisognerà scegliere, il rischio è quello di creare malcontento, ma la tara della misura guarda comunque alla possibilità di colmare una parte delle necessità dell'industria. Il problema è tutto il resto. E sono i numeri a spiegare la difficoltà di pensare, oggi, a un bilanciamento tra imprese e famiglie. I conti fatti al Tesoro dicono che al momento ci sono sei miliardi a disposizione. Non bastano neppure per prorogare i crediti d'imposta per le imprese dal 30 settembre a fine dicembre. Anche qui i prezzi hanno fatto lievitare la spesa che appena un mese fa era stata decisamente più contenuta e quindi più facile da coprire con le risorse a disposizione. All'inizio della settimana prossima si capirà quante delle società energetiche inadempienti a giugno hanno invece versato l'acconto della tassa sugli extraprofitti il 31 agosto. Alla prima prova è stato un flop: poco più di un miliardo incassato a fronte dei circa quattro messi in conto. Il bottino pieno vale 10,5 miliardi sull'anno, con quattro miliardi attesi a fine giugno e altri sei a novembre, ma la necessità di alzare le sanzioni per rimediare al buco di giugno ha messo pressione sull'adeguatezza della tassa.
Ora cambierà. L'obiettivo, spiegano fonti di governo di primo livello, non è tanto modificare il vestito per fugare il rischio di incostituzionalità, ma incassare di più. Al Tesoro sono giorni di simulazioni per capire come ampliare la tassa, se cioè alzare l'aliquota, ora al 25%, se invece estendere la platea dei tassati o, ancora, se procedere in altro modo. Il dato che conta è quello dell'ampliamento, cioè tirare più soldi in cassa e spenderli subito, con il prossimo decreto Aiuti. Per questo la modifica alla tassazione sarà inserita nello stesso testo del provvedimento atteso sul tavolo del Consiglio dei ministri non prima della prossima settimana, anche se le stesse fonti riferiscono che si potrebbe arrivare a metà mese.
Insomma qualcosa si spera di aver incassato a fine agosto, l'ampliamento della tassa dovrebbe portare più risorse. L'asticella per gli aiuti, fissata inizialmente a 10 miliardi, potrebbe salire. Ma non sarà una disponibilità extralarge e, come si diceva, servono almeno 8-10 miliardi solo per prorogare i crediti d'imposta. Le imprese vogliono di più. Misure come la cassa integrazione sul modello Covid, cioè pagata dallo Stato, costano tantissimo. Altre, come la cassa integrazione scontata, rischiano comunque di far sballare i conti dei soldi a disposizione. E le famiglie? La questione è anche politica. Tutti i partiti hanno dato mandato a Draghi di spendere anche se il governo è in affari correnti. Molti, anche quelli che l'hanno mandato a casa, vorrebbero anche di più, cioè uno scostamento di bilancio da 30 miliardi. Ma la destinazione dei soldi incassati con la tassa sugli extraprofitti, a maggior ragione quelli che potrebbero derivare da un suo ampliamento, è tutto tranne che una premessa per una pax energetica. Il Pd preme per dare un segnale alle famiglie. Non riesce a fare sua la proposta per contrastare l'inflazione e alzare i salari, ha la necessità di recuperare terreno su Giorgia Meloni e più in generale sul centrodestra. Appena qualche giorno fa la Cgil ha chiesto di ampliare la tassa sugli extraprofitti e così anche i dem. Il centrodestra non vuole correre il rischio di passare come il partito delle tasse, ma deve misurarsi con un dato di realtà e cioè la necessità di trovare soldi in qualche modo dato che Draghi non vuole uno scostamento di bilancio. C'è una campagna elettorale in corso. Nessuno metterà i bastoni tra le ruote al premier sui nuovi aiuti. Sui destinatari sì. Ci si gioca una parte importante della campagna elettorale perché chi voterà il 25 settembre pensa a quota 100, alla flat tax, al taglio del cuneo invece che alla dote per i 18enni. Ma pensa soprattutto alle bollette, al carrello della spesa che si fa sempre più caro, all'impresa che deve lavorare di notte per ridurre i costi. E i soldi non bastano per tutti.