Gente d'Italia

Alla Bce hanno vinto i falchi, ora finiamo tutti cornuti e mazziati

 

  

di Emilio Barucci

 

I banchieri centrali hanno le loro messe solenni. La più importante è la riunione a Jackson Hole di fine agosto. In questa cittadina del Wyoming si riuniscono ogni anno dal 1978 e, seguendo un rituale ben oliato, colgono l’occasione per lanciare i loro messaggi di politica monetaria. Messaggi che vanno ad impattare direttamente sui mercati finanziari e, in fin dei conti, sulla vita di tutti noi. Questo anno è successo un fatto strano ma assai significativo che non è sfuggito agli addetti ai lavori. Christine Lagarde non ci è andata e si è fatta sostituire dall’economista tedesca Isabel Schnabel, membro del Comitato Esecutivo della BCE.

Il fatto la dice lunga sia nella forma che nella sostanza. La motivazione dell’assenza suona bizzarra tanto da apparire uno scherzo: la Lagarde era immersa nella lettura di Ulysses di Joyce, non sono conosciute le reali ragioni per il no show della Lagarde, la lettura che ne è stata data è che abbia avuto il timore di misurarsi in un consesso di alto livello come Jackson Hole e che abbia preferito far parlare una persona tecnicamente più ferrata. Sicuramente la scelta non contribuisce a consolidare la sua credibilità che non era sicuramente elevata prima di questo episodio. Sempre nella forma la scelta del sostituto non suona casuale: non è un mistero che la BCE sia divisa tra falchi e colombe che si misurano sulle misure anti spread e sul rialzo dei tassi per contrastare l’inflazione, la Schnabel è da ascrivere al primo partito. Poteva andare un altro membro del Comitato della BCE ed invece la scelta è caduta su di lei.

Non è possibile sapere cosa succede nelle segrete stanze di Francoforte ma è indubbio che la scelta di farsi rappresentare dalla Schnabel sembra significare un cosa molto chiara: a Francoforte hanno vinto i falchi almeno sul fronte della lotta all’inflazione. Aspettiamoci dunque un rialzo dei tassi a settembre, cosa che è stata subito scontata dai mercati con il tasso decennale dei titoli di stato attorno al 4%, un punto in più di inizio agosto. Alla forma ha fatto seguito la sostanza, il discorso della Schnabel è stato tutto teso a motivare la decisione di agire con un rialzo deciso dei tassi.

Gli argomenti portati per il rialzo meritano una riflessione. Occorre ricordare in primo luogo che per una volta non siamo di fronte ad una decisione contro i paesi più deboli, quindi non dobbiamo cadere nel solito refrain del vittimismo tutto italiano contro la BCE.

La Schnabel ha messo insieme una narrativa un po’ scontata che racconta di una nuova stagione: dal 2008 in avanti saremmo entrati in un periodo ‘‘new normal’’ caratterizzato da elevata volatilità. Un periodo caratterizzato da profonda incertezza, eventi che maturano in modo repentino con un forte impatto sui mercati e sull’andamento dell’economia. Fin qui niente di nuovo, la novità è che scegliendo ad arte tra i contributi teorici di politica monetaria – ce ne sono di tutti i gusti – ha sposato il cosiddetto ‘‘robust control approach to monetary policy’’ che sostanzialmente richiede di agire come se lo scenario più avverso (in questo caso un rialzo persistente dei prezzi) fosse quello più probabile. Insomma è come se noi decidessimo di fare come gli inglesi che escono di casa ogni giorno dell’anno con l’ombrello in quanto temiamo un rovescio di pioggia. Si tratta di una interpretazione un po’ forzata, altri approcci teorici e altri interventi ad inizio d’anno di membri della BCE invitavano alla cautela proprio a fronte della forte incertezza. Il cambiamento è quindi forte e di sostanza.

Gli argomenti per agire con risolutezza sono tre. In primo luogo le aspettative di inflazione (cioè la valutazione che guida ad esempio gli imprenditori nel definire i prezzi) sono salite dal 3% al 5% nel giro di un anno. Il timore è che l’inflazione – che anche la Schnabel riconosce essere da offerta in Europa – prenda piede portando ad una spirale di stagflazione (inflazione e bassa crescita) difficile da arrestare. La seconda ragione è che i costi per l’economia derivanti dall’agire in ritardo sarebbero troppo elevati, insomma meglio agire con decisione adesso infliggendo una recessione piuttosto che domani in quanto costerebbe molto di più.

Il primo argomento ha sicuramente un fondamento, il secondo appare un po’ forzato, è difficile quantificare i costi che un intervento ritardato potrebbe portare con sé. Anche il primo argomento in realtà convince poco in quanto si potrebbe obiettare che a fronte di un’inflazione dal lato dell’offerta la politica monetaria può fare ben poco, indurre i cittadini a consumare meno e le imprese ad investire di meno a fronte di un aumento delle materie prime suona come una ricetta alquanto strana, insomma finiremmo per essere ‘‘cornuti e mazziati’’: non solo costa di più il pieno di benzina ma anche il mutuo. La risposta dovrebbe piuttosto venire dalla politica fiscale e in particolare dall’Europa che dovrebbe mettere in campo nuove regole fiscali oltre che una strategia sull’energia. Invece l’Europa continua ad essere assente ed ancora la BCE dovrebbe svolgere un ruolo di supplenza.

E qui viene la presa di posizione più forte. La Schnabel ha detto a chiare lettere: BCE non farà più il ruolo del supplente, ha come mandato il controllo dell’inflazione e si occupa di questo e basta senza occuparsi delle ricadute sull’economia reale. Centinaia di pagine di illustri economisti hanno sostenuto questo argomento che è stato fatto proprio nello statuto della BCE (la FED è invece più malleabile occupandosi anche delle ricadute sull’economia reale). La Schnabel ha semplicemente detto che indipendentemente dalla natura dell’inflazione la BCE si deve occupare di tenerla sotto controllo e lo farà tramite la politica monetaria innalzando i tassi anche a costo di indurre una recessione in quanto se non lo facesse metterebbe a rischio la sua credibilità e i costi per aver agito in ritardo sarebbero troppo elevati. Si tratta di una posizione che sarà forse miope (come spesso sono accusati di essere i banchieri centrali) ma che è allineata con lo statuto della BCE.

A questo punto la questione si sposta sull’entità dell’innalzamento e sulla volontà e credibilità della BCE nel mettere a terra davvero misure anti spread. La Bundesbank ha chiesto un aumento poderoso, alcuni si attendono addirittura 75 punti base, l’innalzamento più repentino della storia della BCE che potrebbe sembrare una risposta a l'eccezionalità degli eventi ma che rischia di suonare anche come una dimostrazione della sua incapacità di governare gli eventi. La credibilità della BCE nel 2022 è stata davvero poca cosa. Quanto allo spread, 230 punti base per l’Italia non sono giustificati nonostante le elezioni politiche che si avvicinano. Il vero punto è capire quanto la vittoria dei falchi a Francoforte sul fronte dei tassi segni anche la vittoria sul fronte del contrasto dello spread, se così fosse ci sarebbe poco da stare allegri.

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