Franco Esposito
In Italia arranca la scuola. La partenza in salita come regola primaria e ineludibile ormai. Mancano 150mila insegnanti e i presidi o direttori scolastici, come usa definirli in questo scorcio di secolo, devono inventarsi l’impossibile. In alcuni casi e in diversi posti mancano anche gli alunni italiani. Quelli nati in Italia da genitori italiani.
A Pietrabruna, paesino nell’entroterra di Imperia, in Liguria, ce n’è soltanto un iscritto alle elementari. Un solo italiano e sette stranieri. Tre ucraini e quattro marocchino. Cosa fare? Il Ministero risponde presente alla sua maniera. Dà un cenno di esistenza una tantum, e cosa ti combina? Chiude l’unica scuola elementare. L’integrazione non viene garantita, quindi?
I bimbi andranno a scuola nel paese vicino, San Lorenzo al Mare, dove passa la corsa ciclistica Milano-Sanremo, la Classica che più pazza di lei non ce n’è. Il punto dove spesso scopre uno straccio di preciso indirizzo. Si pensa che sia meglio mettere tutti i giorni i bambini sul pulmino piuttosto che farli crescere insieme ai coetanei stranieri. Un’avventura da quattromila chilometri e due giorni, venti ore e quaranta minuti da passare sull’automezzo messo a disposizione dal Comune.
In quella scuola, a Pietrabruna, per l’ufficio scolastico non viene garantita l’integrazione. I paesini dicono che non è bello, e la scuola chiude. Troppi stranieri in classe, scuola chiusa e trasferimento forzato per tutti. Il fallimento pieno di tutti i piani di integrazione.
Il Ministero ha cancellato l’escamotage a cui aveva fatto ricorso il paesino nell’entroterra ligure. La scuola elementare di viale Kennedy aveva accolto i bimbi ucraini anche nell’ottica di “riuscire a tenere aperta la pluriclasse delle elementari”. Ma i numeri sono quelli, funzionano anche da denuncia, oltre a essere insindacabili e perentori indicatori. Il Comune ha tentato in tutti i modi di salvare la pluriclasse anche ospitando famiglie ucraine.
Disperato il sindaco Massimo Russo, perplesso quantomeno al cospetto delle disposizioni ministeriali. Arrivate in blocco dall’ufficio scolastico regionale. Furibonda una parte degli abitanti di Pietrabruna. “Avevamo le carte in regola per mantenere aperte le elementari. Il numero degli iscritti era sufficiente. Siamo un paese montano e le deroghe esistono. Non è certo una bella cosa mettere i nostri bambini sul pulmino invece di fari crescere insieme in paese”.
Alcuni bambini sono cresciuti nella pluriclasse, adesso separarli non ha senso separarli e inserirli in un nuovo contesto. Pietrabruna si è inalberato, ha alzato gli argini. Al di là delle proteste, legifera la circolare ministeriale 8/2010: “Indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana”. Quella era l’epoca del quarto governo Berlusconi e a capo del Miur sparava cose e provvedimenti spesso non coerenti Mariastella Gelmini. Si rammenta una sua dichiarazione: “Aperti alla integrazione, ma a salvaguardia anche dei simboli e dell’identità della scuola italiana”.
La circolare illustra in modo dettagliato il tetto massimo alla “presenza del trenta per cento di alunni stranieri nelle classi delle scuole”. Se la missione infatti è l’integrazione con alla base la conoscenza della lingua italiana, a Pietrabruna si sono creati i presupposti per il rischio di un fallimento completo, con quel rapporto di sette alunni stranieri e un italiano.
Ma le deroghe esistono o non esistono? Il sindaco ne ha una tre le mani, e con lui stanno le famiglie. La stessa Gelmini, all’epoca ministro della Pubblica Istruzione, una regola l’aveva fatta inserire. “É previsto che il Direttore generale dell’ufficio scolastico regionale possa consentire motivate deroghe al limite del trenta per cento”. In quali casi? Decisamente questo: “Alunni stranieri nati in Italia che abbiano una adeguata competenza della lingua, risorse professionali e strutture di supporto in grado di sostenere fattivamente il processo di apprendimento degli alunni stranieri”.
La circolare dell’allora ministro poneva l’accento anche sul “consolidamento delle esperienze arrivate da singole istituzioni scolastiche che abbiano ottenuto, negli anni trascorsi, risultati positivi; ragioni di continuità didattica di classi già composte come nell’anno trascorso, come può accadere nel caos degli istituti professionali”. Senza considerare gli stati di necessità derivanti “dall’oggettiva assenza di soluzioni alternative”.
Pietrabruna aveva rappresentato un modello unico con le elementari pluriclasse con i bimbi stranieri. Italiani e stranieri che avevano celebrato, in anni non lontani, il 25 aprile scegliendo nomi di battaglia, a mo’ di partigiani, vivendo con grande entusiasmo a convinta partecipazione quella esperienza didattica. Celebrata con un lavoro: “Sappiamo molto bene che libertà è una parola preziosa”.
Quella parola che ora si scontra con una infelice normativa. Quei bambini hanno diritto a una spiegazione.
Magari ripensandoci, ovvero non costringerli a sorbirsi quattromila chilometri in scuolabus per avere una istruzione. Un diritto sacrosanto, per stranieri e non stranieri.