Pacifisti, finti pacifisti o pacifinti. Putiniani mascherati o confessi. E quelli di forza Ucraina ma anche no. Nella campagna elettorale déjà-vu o vintage, una cosa contrasta con la tradizione: che la politica estera si piazza al centro di tutto ed è proprio questa la chiave che usa Giuseppe Conte, pur nelle sue contraddizioni, e che spiega in parte il recupero dei consensi che M5s a sorpresa sta avendo.
A "In mezz'ora in più" su Rai3 il leader stellato, guarda caso, insiste, o meglio viene costretto a tornare su questo tema, che poteva essere il suo trampolino elettorale ma alla luce degli ultimi bollettini dal campo di battaglia rischia di rovinargli il gioco. Infatti la controffensiva ucraina nel nord-est per riconquistare le aree da cui le truppe russe stanno indietreggiando, manda un po' in tilt i pacifisti o i pacifinti. "Da subito - osserva Conte - siamo stati consapevoli che non ci si può difendere a mani nude: per questo abbiamo acconsentito da subito alle sanzioni, appoggiato aiuti umanitari e poi anche militari". E a questo punto appare ancora più stridente il blitz, imbarazzato, di Conte a Coltano intorno al festival "No-War, No-Base" contro la costruzione di grande centro militare.
E ha buon gioco Enrico Letta a infierire, insieme al capogruppo in Senato Andrea Marcucci, dicendo che il governo Conte è stato quello che più degli altri ha aumentato le spese militari. Ma l'ex premier, nella sua narrazione in questa campagna elettorale, si fa forte di un doppiopesismo che spera essere vantaggioso. Sempre ospite di Lucia Annunziata ricorda la "vocazione pacifista" di M5s: "Noi siamo nati il giorno di San Francesco e la pace e il multilateralismo sono la nostra stella polare. La nostra strategia è sempre quella di risolvere i conflitti non alimentando l'escalation militare, siamo tutti contenti di questa controffensiva ma questo non cambia la strategia che abbiamo". E poco importa a Conte, almeno ufficialmente, se la controffensiva dell'Ucraina è dovuta all'invio di armi europee e americane.
L'inedito di una campagna elettorale al tempo della guerra e giocata sulla politica estera - solo nel '48 la Dc usò l'arma dei dollari americani per battere il fronte delle sinistre - è quello che scompagina il blocco, si fa per dire, del centrodestra diviso su molti temi ma soprattutto su quello delle sanzioni. In cui si registra il paradosso secondo cui il partito che, nei sondaggi, ha la maggioranza dei contrari alle sanzioni, cioè Fratelli d'Italia, è anche quello che nella coalizione tiene la barra più diritta a favore di Kiev e contro Mosca. Ormai la divaricazione nel centrodestra su questo argomento è perfino superiore a quella che si registra tra Pe e M5s in politica estera. C'è una sorta di simmetria tra centrodestra e centrosinistra.
Nel primo schieramento la Lega sulla guerra ha posizioni neutraliste e pacifiste, così come nel secondo fronte M5s più o meno è attestata su una linea simile. Guarda caso sono i due partiti di cui si dice che non farebbero parte di una nuova eventuale stagione di larghe intese collegabile alla prosecuzione sine die della guerra russo-ucraina. Questo scenario della guerra che si appropria di tutta la scena non solo incide sull'ultima fase della campagna elettorale ma probabilmente disegnerà, con annessi e connessi di crisi energetica e alimentare, le alleanze e le strategie dell'inizio della prossima legislatura e magari anche del suo prosieguo.