di Claudio Paudice
Prima c'è stata la chiusura di Yamal, il tubo che dalla Russia trasporta il metano a Berlino attraverso la Polonia. Poi è toccato a uno dei due punti di ingresso del gasdotto ucraino, fermato per cause di forza maggiore legate al conflitto militare nel Paese invaso dall'esercito russo il 24 febbraio scorso. Infine, dopo una graduale riduzione dovuta a vari pretesti addotti da Mosca per via delle sanzioni, è stata la volta del Nord Stream, l'infrastruttura che approda in Germania passando dal Mar Baltico, con il blocco totale deciso a inizio settembre. In totale, il monopolista russo Gazprom ha tagliato le forniture all'Unione Europea di oltre il 75%. Ma potrebbe non essere finita qui perché anche il secondo punto di ingresso dell'infrastruttura ucraina è a rischio stop.
La compagnia ucraina che gestisce i gasdotti d'interconnessione tra la Russia e l'Europa, Naftogaz, ha avviato venerdì un procedimento nei confronti di Gazprom presso la Corte internazionale di Arbitrato di Parigi, con cui chiede alla società russa di mettersi in pari e pagare per il servizio di trasporto del gas sul territorio ucraino. "Le somme non sono state pagate, né in tempo e né per intero", si legge in un comunicato dell'azienda statale. "Faremo pagare Gazprom. Naftogaz valuta anche la possibilità di ulteriori reclami. Useremo la nostra esperienza di vittorie su Gazprom nell'arbitrato”, ha dichiarato il Ceo Yuriy Vitrenko. La risposta di Mosca non ha tardato ad arrivare: "Potrebbero derivare molte cose imprevedibili sia dai nostri colleghi occidentali che dai leader dell'industria del gas dell'Ucraina", ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov rispondendo a una domanda sul possibile impatto dell'arbitrato.
Peskov ha inoltre ricordato che il passaggio di metano attraverso il punto di pompaggio di Sokhranovka è interrotto. A inizio maggio Naftogaz annunciò infatti che "l'Ucraina non è più responsabile del trasporto del gas russo attraverso i territori ucraini sotto occupazione militare russa: si tratta di un terzo del volume totale del transito di gas verso l'Europa". La società di Kiev inviò una lettera a Gazprom nella quale informò la controparte russa delle circostanze di "forza maggiore che rendono impossibile continuare il trasporto di gas attraverso il valico di Sokhranovka e la stazione di compressione Novopskov, che si trovano nel territorio occupato dai militari russi". Da lì, prima dello stop, passavano circa 30 milioni di metri cubi di gas al giorno. Resta aperto il punto di ingresso di Sudzha da dove transitano circa 42 milioni di metri cubi al giorno.
In primavera Gazprom ha chiuso anche il tubo polacco, Yamal, con una capacità di 33 miliardi di metri cubi annui, ormai andata perduta. La Polonia è stata tra i primi Paesi Ue a rifiutare il nuovo schema di pagamento del metano russo in rubli, come stabilito da un decreto di Putin del 31 marzo scorso in risposta alle sanzioni occidentali. Dinanzi al rifiuto opposto dalla società Pgnig, Gazprom non ha esitato a tagliarle le forniture per mancato pagamento in rubli, così come ha fatto con la bulgara Bulgargaz. In questi giorni Sofia è tornata sui suoi passi perché dei tre miliardi di metri cubi di gas stabiliti dal contratto con Gazprom ne ha ricevuto solo uno, e ha chiesto alla sua controparte di sedersi a un tavolo per l'estensione dell'accordo in essere e la ripresa dei flussi. Attualmente il Paese, che dipende da Mosca per il 90%, dispone di forniture garantite da Grecia e Turchia solo fino alla fine di settembre. Il governo bulgaro è in attesa di una risposta russa che ancora tarda ad arrivare. Sta di fatto che il tubo Yamal da fine aprile ormai viene utilizzato da ovest verso est, cioè dalla Germania per dirottare gas in Polonia, anche se non sempre in modo costante.
A inizio settembre, come noto, Gazprom ha chiuso i flussi attraverso il Nord Stream, infrastruttura da 55 miliardi di metri cubi, a causa delle sanzioni. Il Cremlino ha posto come condizione per la ripresa delle forniture l'eliminazione delle misure ritorsive contro l'economia russa. Nel muro contro muro con Mosca, l'Ue in gran parte fa affidamento sul tubo ucraino ma il nuovo procedimento arbitrale, e la reazione tanto sibillina quanto minacciosa del regime russo, fanno temere per il futuro. Non è la prima volta che Naftogaz e Gazprom arrivano ai ferri corti. Nel 2018 il tribunale arbitrale di Stoccolma condannò la società russa a pagare quella ucraina due miliardi e mezzo di dollari a titolo di risarcimento per le consegne mancate. Nel 2019 le controparti siglarono un nuovo contratto "pump or pay". Anche in questo caso Naftogaz è intenzionata ad andare fino in fondo: "Sebbene l'arbitrato sia sempre un processo complicato e lungo, credo che Naftogaz ripeterà il successo di Stoccolma 2019", ha aggiunto il Ceo Vitrenko aggiungendo di non escludere la possibilità di avanzare ulteriori pretese contro il gigante russo del gas. Anche perché a causa del conflitto militare, la società ha dovuto incamerare perdite nella produzione e ha richiesto già una linea di credito da 300 milioni alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Ma alla determinazione ucraina ne corrisponde altrettanta dalla parte russa: "È persino spaventoso supporre quali decisioni potrebbero essere prese da Kiev in futuro", ha detto Peskov.
Nel novembre del 2018 migliaia di ucraini sono stati lasciati senza riscaldamento per una delle tante dispute tra le compagnie, quando le temperature in molte zone del Paese oggi sotto attacco erano scese ben al di sotto dello zero. A Kryvy Rih, una città di 600.000 abitanti nel sud-est ucraino, gli abitanti locali occuparono la sede della società locale del gas mentre a Smila alcune persone bloccarono le strade che portano in città. Almeno sei città si ritrovarono all'improvviso senza riscaldamento, per un totale di circa un milione di persone. Alla fine Kiev si ritrovò costretta ad acquistare il gas da società europee che le rivendevano lo stesso gas "inverso" di produzione russa ma proveniente dai tubi di Polonia, Ungheria e Slovacchia, e che agli ucraini ora costava il 35% in più. Mosca non si è mai fatta scrupoli nell'uso del gas come arma economica, solo che stavolta l'Ucraina - in caso di uno stop -non potrà fare affidamento sui partner Ue, che non se la stanno passando bene.
La disputa peraltro si intreccia con le ultime evoluzioni legate al price cap. Martedì la Commissione Europa dovrebbe varare il pacchetto energia ma non è chiaro quali proposte ne faranno parte. L'ipotesi di mettere un tetto al prezzo sul metano importato solo dalla Russia sembra ormai tramontata dopo che Bruxelles ha constatato l'ovvio: "È ormai superato dagli eventi" perché le forniture sono di fatto interrotte o ridotte drasticamente. Resta ancora sul tavolo della Commissione l'ipotesi di introdurre un price cap generalizzato a tutti i fornitori, supportato da 15 Stati membri, ma la Norvegia, che nel frattempo è diventata il primo fornitore Ue dopo il crollo dei flussi russi, ha già detto di no: "Conveniamo nell'avere un dialogo ancora più stretto con l'Unione europea andando avanti sulle varie proposte sul tavolo. Ci apprestiamo a partecipare ai colloqui con un atteggiamento aperto, ma siamo scettici a un tetto al prezzo del gas. Il price cap non risolverà il problema fondamentale, ovvero che c'è troppo poco gas in Europa", ha detto il primo ministro norvegese, Jonas Gahr Støre, dopo una conversazione telefonica avuta questa mattina con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Le importazioni dalla Russia prima costituivano il 40% del totale, ora sono scese al 9%, mentre quelle di Oslo rappresentano un quinto. Nel fine settimana, la ministra francese dell'Energia Agnès Pannier-Runacher ha indicato che il governo è favorevole "a un meccanismo per fissare un limite al prezzo dell'elettricità nel mercato spot" e che la Francia è "abbastanza aperta". Berlino resta titubante, mentre l'Aja è ancora contraria. Per questo le mosse di Bruxelles si concentreranno soprattutto sul razionamento obbligatorio dei consumi dell'energia. Secondo la bozza del Regolamento del Consiglio Ue, si tratta di imporre un target mensile lasciando ai singoli Stati la scelta delle fasce orarie da colpire con misure chiaramente invasive. In attesa che l'Ue si muova, dopo aver accumulato mesi di ritardo, i Paesi Ue si muovono da soli: il ministro delle Finanze della Slovacchia ha annunciato che il Governo potrebbe nazionalizzare il produttore di elettricità del Paese, Slovenské elektrárne, per abbassare i costi delle bollette.