DI ALFONSO RAIMO
Ottobre 2022. Mentre Giorgia Meloni insedia il suo governo, il Pd si lacera nella resa dei conti. È lo scenario che i maggiorenti dem vogliono evitare: il lungo day after di un partito che ha perso le elezioni e si consuma in una lite furibonda tra sconfitti, con le truppe parlamentari balcanizzate tra lettiani, sinistra ed ex renziani. "Così ci facciamo male. Serve un patto tra gentiluomini", confidano al Nazareno. Ma l'intesa cordiale è tutta in salita. Più d'uno ammette: "Il brand non tira più, il giocattolo non funziona". Il cuore in campagna elettorale, la testa al congresso. I Democratici camminano su due strade verso il 25 settembre. Vanno alle urne con l'obiettivo di strappare quanti più voti al centrodestra, ma ognuno si chiede anche cosa accadrà dopo. Non mancano i veleni. "Si avverte, come dire, un certo disimpegno. Probabilmente c'è chi ha puntato sulla sconfitta", spiegano da sinistra. I sospetti piovono sulla minoranza degli ex renziani, Base riformista, che avrebbe gioco facile a imputare la disfatta a Letta. "E' calunnioso anche solo pensarlo", replicano dall'area che fa capo a Lorenzo Guerini.
E' l'ombra lunga del congresso a dividere il Pd a dieci giorni dalle urne. In questi mesi Letta ha governato il partito con una segreteria plurale. La campagna elettorale, con la stesura delle liste, ha riaperto il solco tra le componenti. L'ipotesi che Letta resti è più remota. Qual è la soglia che definisce la sconfitta? Un mese e mezzo fa si ragionava sulla possibilita' di arrivare primi, e ottenere l'incarico dal Quirinale. Ora le cose sono cambiate, i sondaggi registrano un calo di consensi in campagna elettorale (uno, due punti ma comunque un calo) e le ambizioni si sono ridimensionate. "Io non credo che scenderemo sotto il 20 per cento. Ma cambia poco. Vediamo i risultati e poi facciamoci la domanda che conta: il giocattolo funziona ancora o no?", ragiona con Huffington Post un candidato di punta. E' la domanda tabù che percorre il partito, da una parte e dall'altra della linea di faglia interna. Il Pd conviene ancora? Per dire, esponenti di rilievo di Base riformista declinano in questi termini la richiesta perentoria del congresso: "E' semplice: o ce lo danno o ce ne andiamo". Tatticismi a parte, il big bang ha una cifra scritta nera su bianco ed è quel 18,7 per cento che prese Renzi nel 2018. Il peggior risultato mai raggiunto. A quel livello c'e' poco da fare. Addio Pd.
Ma proprio perchè l'implosione è un esito possibile, il congresso potrebbe rivelarsi un tema feticcio. Lo vuole Base Riformista, che punta tutto su Stefano Bonaccini. L'area che fa capo a Lorenzo Guerini mette in conto che il congresso ci sarà ad ogni costo. "E' previsto dallo statuto e non è vero che si rischia se lo si tiene. Il 17 settembre scade l'assemblea nazionale. Da quel momento ci sono sei mesi per rinnovarla. Quindi entro marzo 2023 va tenuto. Per noi bisogna indirlo al più tardi entro novembre", spiegano fonti di area. Giusto il tempo di vedere Meloni insediarsi a Chigi. Di contro, Dario Franceschini e Andrea Orlando provano a blindare Letta. Ma chiedono in cambio un mutamento della direzione di marcia. Torna il Campo Largo.
Il segretario aveva ottenuto il voto della direzione sull'ostracismo nei confronti dei Cinque Stelle, i draghicidi. Su quello aveva costruito la campagna del voto utile. Ma i consensi al M5s - e al Terzo Polo - invece di diminuire sono aumentati. Cosi' senza dirlo a nessuno, la campagna del 'rosso e nero' - che puntava sul pericolo autoritario della Meloni e considerava ogni voto al M5s come un regalo alla destra - e' andata in archivio. Ora quelli dei Cinque Stelle sono voti che possono tornare utili per conquistare collegi al Sud. "E' stato un errore imperdonabile presentarsi divisi alle elezioni", dice Michele Emiliano, il garante con Vincenzo De Luca della svolta sancita dalla Carta di Taranto. Per Letta e' un'inversione a U. Per la Sinistra interna un'occasione da cogliere al volo per ricostruire quello che chiama Campo progressista (ex Campo largo). In questa chiave leggono anche il futuro congresso, che deve lasciare il passo a un appuntamento costituente di tutta l'area di centrosinistra. La primarie di coalizione a urne chiuse. "Ci mettiamo a fare un congresso dove Bonaccini vuole portare il partito a destra e noi diciamo che bisogna andare a sinistra? Serve a qualcuno un dibattito del genere?", confida una fonte di area. "Ma dove vanno, si fanno prendere ancora in giro da Conte?", replicano da Base riformista. La frattura è profonda. Del resto Orlando al Manifesto spiega che il Pd non è più il partito del jobs act. Una sconfessione della stagione renziana che rinfocola le polemiche. Bettini lavora alla ricostruzione del partito in un'area piu' vasta. Bersani vedrebbe bene una rifondazione democratica, sposta a sinistra. Al Nazareno e dintorni, con un occhio alla rotta, si valutano strade alternative. Soluzioni barocche in puro stile dem. Ecco la margherita dei candidati terzi: circola il nome del presidente Anci Antonio Decaro. O quello del sindaco di Firenze Dario Nardella e perche' no quello di Pesaro Matteo Ricci. Servirebbe qualcuno "in grado di guidare una discussione profonda in un passaggio difficile", dice Orlando che continua a pensare a Letta, magari attorniato da un direttorio. Un traghettamento, ma verso dove non e' chiaro: "Noi a parlare di triumvirati e caminetti, con la Meloni a Palazzo Chigi. Attenzione, che ci ridono dietro".