Nelle nostre case di elettori residenti all’estero, i plichi elettorali sono arrivati da qualche giorno. Nessuno perda tempo, votando secondo le indicazioni ricevute e procedendo a rispedire la scheda. Chi non l’ha ricevuta, contatti urgentemente il suo consolato per riceverne un duplicato, prima che sia troppo tardi.
Soprattutto, ciascuno voti, utilizzando lo strumento di democrazia che ha nelle mani e contrastando con i fatti l’attacco che il voto degli italiani all’estero sta subendo da tempo, da parte di chi lo considera una mina vagante per gli equilibri politici del Paese o un lusso troppo oneroso per il bilancio dello Stato e troppo faticoso per l’amministrazione.
La parità tra i cittadini, soprattutto tra quelli che sono in Italia e quelli che risiedono all’estero, si conquista esercitando concretamente e nel modo più appropriato i diritti di cittadinanza, ad iniziare da quelli politici.
La parità, poi, si realizza non emettendo nel vuoto sonori slogan privi di contenuti e riscontri reali, ma creando strumenti di iniziativa e di protagonismo della comunità italiana nel mondo nell’assetto istituzionale italiano; ritagliandosi quotidianamente, allo stesso tempo, gli spazi dovuti nelle politiche in cui si articola e sostanzia l’intervento pubblico.
La parità, poi, si realizza non emettendo nel vuoto sonori slogan privi di contenuti e riscontri reali, ma creando strumenti di iniziativa e di protagonismo della comunità italiana nel mondo nell’assetto istituzionale italiano; ritagliandosi quotidianamente, allo stesso tempo, gli spazi dovuti nelle politiche in cui si articola e sostanzia l’intervento pubblico.
Nell’ordinamento italiano non ci sono formule semplificatrici del lavoro che ogni giorno occorre intraprendere per fare avanzare non nella propaganda, ma nei fatti, visibilità, ruolo e protagonismo degli italiani all’estero. Magari raccogliendo le forze di tutti i rappresentanti, a qualsiasi livello, per cercare di aumentare il peso e la forza di condizionamento del nostro mondo sul sistema politico e istituzionale italiano.
C’è da restare sorpresi e preoccupati, allora, per la superficialità e la scarsa conoscenza istituzionale con cui si è parlato di una delle poche iniziative veramente unitarie e trasversali che dopo una lunga gestazione si è sviluppata nell’ultima legislatura, il cui iter è stato interrotto dalla inaspettata caduta del governo Draghi. Parlo della Commissione bicamerale per gli italiani nel mondo, approvata unanimemente in sede deliberante dalla Commissione esteri della Camera e arenatasi al Senato.
Intanto, ne rivendico orgogliosamente la primogenitura e la costante presenza della mia parte politica. Dopo una vaga e lontana intuizione di Mirko Tremaglia, chi ha dato forma di legge alla proposta e l’ha formalizzata in Parlamento dieci anni fa è stato un deputato del PD, Gianni Farina. Quelle di altri deputati e gruppi sono venute dopo. Io stessa, presentando la mia proposta di legge, mi sono messa sul solco di un’iniziativa prolungata nel tempo e sempre perseguita e condivisa dal gruppo del PD.
In più, dopo che la riduzione del numero dei parlamentari ha accentuato la prospettiva di una ulteriore marginalizzazione della delegazione proveniente dall’estero, la risposta unanime è stata quella di dotarsi prima possibile dello strumento della Bicamerale per dare centralità alle tematiche degli italiani all’estero.
Questa esigenza non solo è stata avallata pienamente dalla responsabile esteri del PD, on. Lia Quartapelle, ma è stata assunta con convinzione dal Presidente della Commissione Piero Fassino, anche lui del PD, che ha richiesto e ottenuto a nome di tutti i gruppi parlamentari la sede deliberante, portando il disegno di legge unificato ad una approvazione pressoché unanime.
Chi parla di uno strumento parziale e limitato, sostanzialmente emarginante per gli italiani all’estero, o non ha letto la proposta unificata o non l’ha capita. Intanto, non è uno strumento degli eletti all’estero, che vi compaiono in stretta minoranza, ma del Parlamento. Essa, poi, ha lo scopo di portare tutti i gruppi parlamentari, tramite gli esponenti ‘italiani’, non ‘esteri’, a parlare del modo come l’Italia si proietta nel mondo utilizzando e valorizzando la sua articolata presenza comunitaria. Ha il compito di interloquire direttamente con il Governo (cosa che a nessun eletto all’estero sarebbe possibile con eguale autorevolezza ed efficacia) non solo sul versante della partecipazione alla vita democratica italiana ma anche su quello dei livelli di integrazione raggiunti dagli italiani nei paesi di accoglienza. Ancora, dovrebbe diventare un fondamentale strumento di monitoraggio delle nuove emigrazioni e la sede di costante verifica del coinvolgimento degli italiani all’estero alle politiche di promozione integrata del Paese in ambito globale. E infine – guarda caso – dovrebbe monitorare i livelli di fruizione dei diritti tra i cittadini italiani, sia che risiedano in Italia sia che risiedano all’estero.
Come uno strumento del genere possa apparire un fattore discriminante è uno dei misteri dolorosi che la fine della campagna elettorale si spera possa fare evaporare, magari assieme alla supponenza di cui alcune prese di posizione sono rivestite.
Soprattutto, si cerchi di costruire, non di distruggere, e di perseguire alleanze e consensi che possano far vivere le nostre istanze nelle difficili condizioni che un Parlamento dimidiato fa purtroppo intravedere e temere.
La Commissione Bicamerale, almeno alla Camera, è riuscita a favorire una positiva esperienza di unità e di coinvolgimento dei gruppi parlamentari. Speriamo che ci sia sufficiente buon senso e spirito di umiltà per ripartire dai risultati acquisiti cercando non di rimetterli in discussione ma di migliorarli.
Angela Schirò