DI SOFIA VENTURA
Il risultato di questa ultima tornata elettorale non sorprende più di tanto perché è legato a fattori strutturali del nostro attuale sistema politico e partitico. Un dato che si è ormai consolidato negli ultimi anni, e in modo netto dal 2018, è la presenza di un elettorato di destra disponibile a sostenere partiti della destra radicale o partiti che nominalmente si collocano su posizioni più moderate, ma che sono disponibili ad allearsi con quella destra, come Forza Italia od occasionali cespugli. Quell'elettorato da anni rappresenta più del 40 per cento dei votanti. Queste elezioni hanno confermato questa attitudine degli elettori che si posizionano sul lato destro dello scacchiere politico. Poiché non è ipotizzabile che si tratti nella sua interezza di un elettorato 'estremista', ciò significa che buona parte degli elettori che si definirebbero moderati accetta di sostenere un'offerta politica radicale.
Questo vuol dire che si va verso una 'normalizzazione' di quella destra, che, nonostante i toni più pacati utilizzati nelle ultime battute della campagna elettorale e, per quanto riguarda Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia, gli sforzi di presentarsi come una normale offerta politica conservatrice, mantiene l'attitudine propria della destra populista di concepire la politica attraverso schemi manichei quali quelli che contrappongono il popolo alle élite, il popolo autoctono agli stranieri, la nazione alle altre nazioni e a istituzioni come l'Unione Europea. Nonché di considerare la democrazia come la mera espressione di una sovranità popolare, dimenticando la componente liberale, ovvero l'aspetto costituzionale che limita l'ambito di azione di quella sovranità e le permette di esprimersi attraverso complessi processi istituzionali e nel rispetto di determinate garanzie, individuali e quindi delle minoranze. Ed è per questo che Lega e Fratelli d'Italia, e i rispettivi leader, continuano a difendere le posizioni dei governanti ungheresi e polacchi, che hanno esplicitamente attaccato lo Stato di diritto nei loro Paesi, contro la 'pretesa' dell'Unione Europea di farne rispettare le regole in tutti gli Stati dell'Unione.
Nel suo saggio del 2019, The Far Right Today, il noto politologo olandese Cas Mudde denunciava proprio questo processo di normalizzazione (mainstreamization) delle destre radicali in Europa nell'ultimo decennio, questa progressiva loro accettazione come normali forze di governo. E in un tweet dedicato proprio alle nostre elezioni scriveva due giorni fa:
"La coalizione vincente in Italia non è di "centrodestra", FdI non è "nazional-conservatore" (che è un termine privo di senso) e chiamare la Lega "di destra" è vago come chiamare animale un cane".
Se rivolgiamo lo sguardo verso l'altro versante dello spettro politico, vediamo che il secondo dato strutturale è una sinistra che da anni non riesce a uscire dai limiti di un consenso modesto che le impedisce di presentarsi come possibile, e omogenea, maggioranza di governo. Con il maggior partito della sinistra, il Partito democratico, che stenta a divenire forza trainante di un progetto politico alternativo alla destra. Il lungo sodalizio con il Movimento 5 stelle si spiega proprio con questa incapacità e la scelta di cercare una scorciatoia per la conquista del governo, piuttosto che intraprendere la più onerosa via di un rinnovamento ideale, organizzativo e di classe dirigente. Le elezioni di questo settembre 2022 hanno certificato questo stato di cose.
Al suo interno il Pd contiene diverse anime. La scelta di governare prima e continuare, poi, un progetto comune con i 5 Stelle e quindi con Giuseppe Conte, hanno portato linfa alla parte più radicale e tentata da sirene populiste. La rottura con Conte dopo che questi aveva innescato il processo che ha portato alla fine del governo Draghi non ha in realtà posto fine alla tentazione di uno spostamento verso posizioni più radicalmente di sinistra e di una ripresa dell'alleanza col populismo del nuovo tribuno a 5 Stelle. Il processo che condurrà al prossimo congresso del Pd vedrà confrontarsi le diverse prospettive presenti nel partito e già non mancano i segnali di una radicalizzazione, sostenuta da parte di quella stessa classe dirigente che ha contribuito alla débâcle del 25 settembre e che non pare volersi fare da parte. D'altro canto, una eredità del vecchio Pci consiste nel non tollerare avversari a sinistra e oggi il populismo borbonico di Conte costituisce una sfida che l'attuale Pd potrebbe decidere di affrontare non con un serio progetto politico, ma attraverso una rinnovata intesa che inevitabilmente comporterebbe il compromesso – come già è accaduto – con il giacobinismo e le tendenze assistenzialiste del nuovo grillismo. Per non parlare delle posizioni in politica estera: in fondo il netto posizionamento di Enrico Letta a favore dell'Ucraina e dell'invio delle armi in suo aiuto è stato calato dall'alto e non ha certo trovato un consenso unanime.
Vista nel suo insieme, dunque, la situazione nella quale si trova l'Italia all'indomani del voto pare far presagire una polarizzazione e radicalizzazione del suo sistema politico e partitico. Con un conseguente surriscaldamento del clima politico e la reciproca delegittimazione di maggioranza e opposizione. In queste elezioni l'alternativa a questo modello polarizzato ha ricevuto un consenso piuttosto limitato, ancorché non irrilevante, prossimo all'otto per cento. In un sistema fluido come l'attuale, dove le fedeltà ai partiti sono venute meno e la disponibilità degli elettori, ma anche dei protagonisti politici, a spostarsi è elevata, potrebbe in futuro essere il punto di riferimento in una ristrutturazione dell'assetto partigiano prodotto da reazioni interne ai due poli a una eccessiva radicalizzazione. A sinistra queste reazioni potrebbero prodursi in tempi non lontani nel caso di un riavvicinamento tra il Pd e i Cinque Stelle. A destra appaiono meno probabili in tempi brevi e comunque fortemente dipendenti dalle scelte della nuova maggioranza. Ma si tratta di una storia ancora tutta da scrivere, di un sistema che certo non ha ancora trovato il suo equilibrio. E non è affatto detto che lo trovi.