di Ugo Magri
La prima mossa intelligente che Meloni poteva fare, sull'onda del trionfo, era starsene zitta; mettersi immediatamente all'opera rinunciando alle baldorie; evitare sfrucugliamenti degli avversari sconfitti. Bisogna darle atto che fin qui c'è riuscita, a costo di spiazzare col silenzio i suoi ultrà che avrebbero preferito qualche bunga-bunga di rito tribale. Come inizio non poteva fare di meglio.
Però adesso Giorgia ha l'occasione di superarsi con un gesto di generosità politica, di autentico fair-play che spazzerebbe via una quantità di stereotipi sul suo conto e, in particolare, quell'immagine torva da Ducettasu cui indugiano - inzuppando il pane - i giornaloni stranieri. Se ne avesse la forza e il coraggio, Meloni potrebbe rinunciare alla presidenza della Camera, che è la terza carica dello Stato, per insediarvi un esponente indicato dall'opposizione.
A quanto trapela qua e là, la futura premier ci sta ragionando su.
Sarebbe un ritorno al passato, e non a tutti può far piacere. Dividersi le cariche istituzionali fu la prassi introdotta nel 1976 come consacrazione del "compromesso storico" che venne stipulato dalla Dc di Aldo Moro e dal Pci di Enrico Berlinguer con il concorso del laico Ugo La Malfa. I termini del patto erano chiari: i comunisti consentivano la governabilità del Paese, in cambio venivano compensati con un ramo del Parlamento.
L'elezione di Pietro Ingrao alla presidenza della Camera fece da pendant al governo della "non sfiducia", guidato da quel volpone di Giulio Andreotti e reso possibile dall'astensione comunista. Insomma dietro ci fu indubitabilmente un "inciucio", però di livello altissimo se confrontato con l'oggi; e comunque più che giustificato dal tentativo di scansare il baratro dove l'Italia stava precipitando, travolta da terrorismo e inflazione, corruzione e mafie (più il solito contorno di oscure trame). Con l'assassinio di Moro il compromesso finì, ma la consuetudine di garantirsi a vicenda, magari di coprirsi le spalle, in sostanza di combattersi nel rispetto reciproco, durò ancora parecchi anni; col risultato che al Senato vennero eletti personaggi del calibro di Giovanni Malagodi, Amintore Fanfani, Giovanni Spadolini e alla Camera "oppositori" di statura altrettanto elevata come Nilde Iotti e Giorgio Napolitano. Finché non arrivò Silvio Berlusconi.
Il Cav inaugurò l'era del bipolarismo volgarmente detto "muscolare", quello che flette i bicipiti come King Kong e non fa prigionieri. Basta coi vecchi arnesi della Prima Repubblica, proclamò Silvio; da quel momento le presidenze delle due Camere tornarono preda dello "spoils system" all'amatriciana, parodia di quello anglosassone, dove chi vince le elezioni si acchiappa tutto. Se le sono pappate volta a volta destra e sinistra, piazzandoci chi più conveniva agli equilibri interni, svilendone l'immagine "super partes", col risultato che il prestigio di queste cariche non ne ha tratto vantaggio; con rare eccezioni, è precipitato in basso. Se Meloni ne invertisse il declino sarebbe una benemerita. Inoltre, politicamente, le converrebbe un bel po'.
Per tre buoni motivi.
Primo: cedendo la presidenza della Camera alle opposizioni, Giorgia darebbe a tanti sedicenti "liberal" del centrodestra una piccola lezione di cultura liberale, cioè tollerante, civile, plurale, inclusiva. Insistere a dipingerla come "fascia", dopo una rinuncia del genere diventerebbe più complicato.
Secondo: Giorgia lancerebbe a Cinque stelle, centristi e Pd un segnale distensivo, un messaggio di pacificazione, una sorta di "volèmose bene" proprio nel momento in cui la Patria chiama e, usando parole sue, "bisognerebbe tenersi per mano" cooperando là dove possibile per evitare guai seri. Accompagnata dal dono di una poltrona, questa mano tesa sarebbe sicuramente più credibile.
Terzo e decisivo motivo: la reciproca legittimazione. Scambiarsi con gli avversari le cariche "di garanzia" significherebbe considerarsi altrettanto degni di occuparle, tutti sinceri democratici, mettendo fine a una lunga stagione in cui per battere il "nemico" si sono usate armi improprie, corpi contundenti e veleni di ogni tipo. Se c'è una parte politica che maggiormente ha sofferto la ghettizzazione nel dopoguerra e tuttora vive un "inferiority complex" che le vieta di stare serena (Coccia di Morto anziché Capalbio, per dirla con Pietrangelo Buttafuoco), questa è senza dubbio la tradizione post-fascista o ex-missina dalla quale Giorgia discende; dunque nessuno meglio di lei apprezzerebbe un riconoscimento reciproco, una vicendevole definitiva legittimazione.
A voler essere maliziosi ci sarebbe un quarto motivo di convenienza per la Meloni. Se trovasse la forza e il coraggio di rinunciare a una poltrona, cedendola alle opposizioni, si può stare certi che su quell'osso si avventerebbero tutti i perdenti, in particolare dem e 5 stelle. Si scatenerebbe a sinistra una zuffa furiosa. Cosicché lei ci farebbe un figurone; in più dimostrerebbe che gli altri non hanno capito niente.