Di Silvana Mangione
È ormai risaputo da tutti che in Argentina sono state taroccate 25.000 schede. Sto usando questo brutto aggettivo, sinonimo di falsificato, per meglio descrivere la gravità del comportamento di chi ha pensato questo tipo di broglio. Il fatto che l'esterno delle schede contraffatte abbia una sfumatura diversa da quelle ufficiali è certamente da ascrivere all'errata miscelatura degli inchiostri da parte della ditta incaricata. Ricordo che fra i suggerimenti dati dal CGIE – Consiglio Generale degli Italiani all'Estero – per mettere in sicurezza il voto, primo fra tutti c'era proprio quello di far stampare le schede in Italia dal Poligrafico dello Stato. In questo modo non ci sarebbe stata alcuna possibilità di brogli con schede false. Il fatto, invece, che la dicitura all'interno delle 25.000 schede sia in lingua spagnola consente di immaginare una serie di ipotesi e varie attribuzioni di responsabilità. Si tratta di un reato che tutti noi siamo chiamati a indagare, un "giallo" da svelare, questa volta trovando la soluzione, per evitare che succeda di nuovo in futuro. Le possibilità non sono molte. La più semplice è che chi ha stampato le schede sia stato avvicinato da uno degli aggregati di partito o movimento o associazione che sia e abbia prodotto e consegnato le schede taroccate, forse pensando che fossero quelle giuste. Ma questo fa nascere un'altra domanda: a che pro? Chi ha promosso questo atto illegale non ha avuto nemmeno l'intelligenza di capire che per una elezione italiana ogni parola sarebbe stata rigorosamente scritta in italiano. Non possiamo credere al colpo di genio di qualcuno che, in buona fede, ha deciso di tradurre in spagnolo le diciture, per facilitare la comprensione ai molti italo-discendenti, che non parlano una parola della nostra lingua, ma hanno ottenuto il riconoscimento della cittadinanza, in certi casi risalendo a un quinquisavolo emigrato prima del 1861, quando i "cittadini" italiani formalmente non esistevano. Questo, tuttavia, si saprà prima o poi. La domanda fondamentale alla quale vogliamo tutti una risposta è: dove sono finite queste schede? Sono state scoperte prima di essere spedite? Se ciò è vero, non sono state votate né mandate in Italia. E allora, si tratterebbe di un tentativo di broglio profondamente stupido, dato che non ne ha beneficiato nessuno. Il problema è che ci stanno inzuppando il pane coloro che da sempre hanno remato contro l'esercizio del diritto di voto in loco con rappresentanza diretta degli italiani all'estero. L'Art. 48 della Costituzione, infatti, recita al primo comma: "Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età" e, aggiungiamo noi, hanno questo diritto a prescindere dalla loro residenza. Quindi il tanto sbandierato vessillo di chi si riempie la bocca dicendo che l'On. Mirko Tremaglia ha "dato" il voto agli italiani all'estero, affermano il falso e fanno rivoltare nella tomba proprio quest'uomo che era un ottimo giurista. Ho conosciuto l'On. Tremaglia, che ha fatto parte del primo Comitato di Presidenza del CGIE e ha lavorato, alla pari, con tutti noi rappresentanti dei quattro cantoni del globo terracqueo, con una perseveranza e una capacità di ascolto e di arrabbiatura di fronte alle cretinate e le bugie, che bisognerebbe riuscire a recuperare trasversalmente nel quadro dei partiti presenti in Parlamento. Al comma terzo dell'Art.48, la Costituzione sancisce: "La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività". Questa norma è in parte precettiva in parte programmatoria. Traducendola dal legislativese, significa, appunto, che la residenza all'estero non ha mai tolto ai cittadini italiani il diritto di votare ma, pretendendo la legge abrogata che andassero in Italia per esercitarlo, ne ha di fatto negato la possibilità, per le distanze e i costi che ciò comportava. So che mi avete già perdonato questo lungo preambolo e, come dicono i politici che parleranno per un'altra mezz'ora, "mi avvio alla conclusione", che invece sarà breve e chiara. Non sapere se le 25.000 schede sono state distrutte, annullate o conservate, lascia aperto il fianco all'assalto di chi chiede con forza di cancellare la circoscrizione Estero. Siamo tutti convinti che i brogli vanno eliminati. L'unico modo per farlo è attraverso leggi che comminino dure punizioni a chi se ne macchia. Ma vorremmo che si cominciasse con la sanatoria di infrazioni e reati di cui abbiamo già le prove lampanti, fornite dalla cortesia o forse dal narcisismo di chi li ha commessi. Riparliamo per l'ennesima volta, del Consigliere CGIE e Com.It.Es., nonché deputato supplente del Parlamento uruguaiano, Aldo Lamorte, che si è fatto fotografare mentre faceva campagna elettorale prima all'interno, poi davanti alla cancelleria consolare. Non contento ha filmato se stesso mentre insegnava agli elettori indecisi come votare per il MAIE, movimento da cui forse vorrebbe essere onorato con tappeti rossi e trombe d'argento. Peccato che il certificato elettorale che ha usato, postandolo nei social, fosse quello di un'elettrice che non ha mai ricevuto il plico. Sottratto da qualcuno? Chi? Vorremmo saperlo. E arrivato nelle mani di Lamorte? Come? Vorremmo saperlo. La folla che gli chiede di avere il buon gusto e l'etica di dimettersi dalle cariche elettive italiane cresce ogni giorni, ma l'esortazione cade su orecchie totalmente sorde. Le leggi istitutive di ComIt.Es. e CGIE finora non prevedono un'immediata decadenza in casi come questo, ma lo faranno certamente in futuro. La denuncia alla Procura della Repubblica è già stata presentata. E allora? In questo caso, come in alcune situazioni spinose risolte in passato, preghiamo la Farnesina di esercitare nel suo modo inimitabile la moral suasion necessaria e sufficiente affinché Lamorte lasci spontaneamente queste due cariche e rinasca la pace all'interno della comunità. Grazie.