di Donatella Papi
Il presidente del Consiglio in pectore Giorgia Meloni ha commentato il discorso del presidente russo, Vladimir Putin, sulla firma dei trattati per le auto-proclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk e le regioni di Kherson e Zaporizhzhia, definendolo "una farsa" che tradirebbe grandissima difficoltà e debolezza.
"È una mossa abbastanza disperata – ha spiegato Meloni – che precede due azioni: il referendum farsa per annettere i territori ucraini occupati e la mobilitazione parziale con cui cercherà di mandare a morire le minoranze e i disperati. Tutto questo mi pare tradisca disperazione".
Da questa cerimonia, tuttavia, che si è svolta nel palazzo del Cremlino, dipenderà il futuro di pace o di stillicidio del mondo intero. Perché o l'America, l'Europa e l'Occidente riconosceranno il valore dei referendum, e allora si potrà parlare di "negoziati", oppure si tornerà alle armi in quella escalation paventata con termini agghiaccianti. All'indomani, Papa Francesco – nei suoi appelli rilanciati in prima pagina da tutti i principali quotidiani – ha invocato un "Putin fermati" e, al condottiero di Kiev, ha detto "trattate".
A che punto siamo di questa fase storica post-bellica, più delicata e drammatica? Secondo il presidente di Mosca, quattro milioni di persone dei quattro soggetti, che hanno espresso la propria volontà, entreranno nella Federazione Russa. Così che Vladimir Putin ha potuto esultare di fronte alla platea con queste parole: "Hanno vinto i nostri Padri, eroi della grande nostra Russia".
"Se il Parlamento ratificherà il Trattato", ha tuttavia sottolineato "lo Zar", come lo chiamano, volgendosi ai presenti in sala. E ha fatto di più l'astuto Vladimir. D'altronde, chi più di lui conosce la storia, gli incubi, le notti chiare e le giornate buie dell'Impero moscovita prima e della nazione sovietica chiusa nelle sue gelide cortine di ferro. Insomma, sa dove vuole andare a parare. E dove se non contro l'America, che ha evocato in tutto il suo discorso come il nemico da contrastare.
Attenzione, però, Occidente. Putin definisce "cazzotti" le manovre sul rublo, ma punta il dito contro di noi, dicendo che la nostra politica estera è tutta mirata alla dissoluzione dei valori fondanti e ha citato "la cultura e la fede". "Non hanno bisogno della Russia", ha esplicitamente indicato alla platea ampia e rappresentata dalle prime file del Governo, dai generali con le mogli, dai "metropoliti" ortodossi, dai giovani funzionari, dalle rappresentanze diplomatiche e tanti altri. "La Russia serve a noi" ha richiamato elencando i punti fermi dell'operazione speciale evoluta nella chiamata drammatica dei riservisti e nelle continue minacce di escalation al fulmicotone.
E non serve anche a noi italiani la Russia, non quella del Soviet, ma quella "atlantica", cioè la "via unica" per ilgas, per abbassare le bollette, per gestire l'inflazione in tempi certi e rapidi, ma anche quella dei valori cristiani. Perché se i nuovi mercati spingono sulle rotte delle Borse mondiali, noi, tuttavia, su quelle curve e picchi ci possiamo mettere non solo gas o grano ma esattamente quella linfa che serve a tutti, la cultura e loSpirito. Un quadro di Leonardo da Vinci non varrà mai meno di tutti i prodotti che fanno schizzare i prezzi. Un quadro, un solo quadro, pensate a tutto ciò che abbiamo in Italia, in Europa, nell'Occidente. Mi spiace, ma anche gli arabi dovranno capire che il nostro David vestito inviato alla Mostra di Dubai non è meno dei loro infiniti pozzi petroliferi, anzi li sovrasta e li governa. Chissà se alla fine capiremo anche il perché di tanta ostinazione in censure che non possiamo condividere, perché a noi un popolo senza musica, con l'arte imbavagliata e una fede legata nei fondamentalismi, che in questi giorni rischiano di far esplodere l'Iran, non ci piace. Mi riferisco all'industria culturale. Per quante trivelle e pannelli solari ci siano, nulla potrà mai eguagliare il valore artistico italiano. Ecco la centralità invocata non a caso durante la partita elettorale. Altrimenti, scusate, quale Patriastiamo spacciando ovunque?
Due punti mi hanno impressionato del discorso di Vladimir Putin. Il primo laddove ha detto che i referendum da essi applicati per questo passaggio sono notoriamente "un diritto inalienabile di autodeterminazione dei popoli" riconosciuto anche dalla Nato. Il secondo quando, rivolto alle prime file, ha sottolineato quel "se" che sapeva tanto di pennellata democratica nelle gelide stanze del Cremlino. Cioè, che l'annessione e la firma del Trattato saranno valide se democraticamente riconosciute e legiferate dal Governo russo. Vuol dire che la Russia ha un sistema democratico? E da quando?
Ora, potremmo divertirci ad aggettivare questi passaggi, ma non possiamo eludere le righe di un discorso "in diretta tv" con le telecamere che spaziavano dalle colonne del palazzo di Nicola I costruito sulle rovine di Ivan IIIpassato ad Elisabetta di Russia nel XVIII secolo. Quelle colonne che troneggiavano ai fianchi della sala, ricavate dai marmi rubati delle piramidi durante le tante incursioni della storia bizantina. Sarebbe più importante studiare la storia del pensiero filosofico cristiano che non occuparsi di geopolitica, perché con la geopolitica stiamo scivolando sul piano inclinato della fame, della sete, della paura e di quello che giustamente contestiamo nell'aspro, taroccato, micidiale e infinitamente disumano conflitto in atto ai confini di un Impero che è esistito. Ci piaccia o no. Mi riferisco, ovviamente, non al comunismo, che io sinceramente vorrei togliermi dal cuore, ma a quello precedente che mi affascina, conturba, rapisce e – avendo conosciuto gli ultimi eredi dei Romanov – mi interroga nel suo dramma insoluto.
Certo, fa bene la presidente del Consiglio in pectore a definire "farsa" e "prova di debolezza" le espressioni di Vladimir Putin, con il sospetto che contengano un piano mostruoso. Tuttavia, se non risolveremo questo passaggio, sarà fatale soffrire di fame, sete e di quel dolore che, appunto, solo l'arte può lievemente avvicinare e mostrare in tutta la sua nudità. La morte. La gelida mano della morte, che sta prendendo uomini, donne, giovani, ragazzini, mentre noi siamo qui a discettare. Ai negoziati, subito!